uella alberobellese è una comunità relativamente recente. Civilmente, il riconoscimento giuridico ha, da pochissimi anni, compiuto i due secoli di vita.Gli abitanti del piccolo villaggio, sorto per volere del conte Giangirolamo Acquaviva, si erano dotati, a partire dal 1609,di una piccola cappella rurale, erigendola fra le casedde, inizialmente dedicata alla Madonna delle Grazie e della quale, un sacerdote della vicina Noci, don Pietro Di Leo, ne fu il primo cappellano. La stessa chiesetta, a partire dal 1636, fu dedicata ai santi Medici, il cui culto era stato introdotto dal conte Feudatario e dei quali i villici ne erano, intanto, diventati molto devoti.
Nel 1663 la chiesa rurale ottiene dal vescovo una forma di autonomia e il cappellano del tempo, don Francesco Gentile, per i battesimi, le estreme unzioni, non doveva più recarsi, ogni volta, a Noci, sede della Parrocchia da cui dipendeva, per il prelievo dell'olio santo. Il sacerdote era anche autorizzato alla tenuta di registri, separati da quelli della parrocchia di Noci, delle nascite, dei battesimi, dei matrimoni e dei defunti della comunità residente nel villaggio. Si ha notizia che nel 1784 viene innalzato un campanile di grosse dimensioni che però rimase incompiuto.

Il 16 febbraio 1814, con la nomina di don Vito Onofrio Lippolis a primo Arciprete, la chiesa di Alberobello, elevata a parrocchia, acquista la sua indipendenza da quella di Noci. Sulla primitiva chiesa, viene collocata una campanella di rotoli 23, equivalenti a circa 20,500 kg . Nel 1816 viene sostituita con una più grande di rotoli 36, cioè di circa 32 Kg. Nel 1820 se ne aggiungono altre due, fuse sul posto, nelle vicinanze della chiesa stessa. Durante la fusione molti villici, uomini e donne, con devozione gettavano nelle fornaci monete, collane, spille ed altri semplici ornamenti d'argento per fonderli insieme al bronzo e rendere il suono delle future campane più squillante. Nel 1866, viene collocata una campana, forse in sostituzione di quella istallata nel 1816, più grande delle precedenti, prodotta dalla ditta Giuseppe Olita di Lecce, recante l'immagine della Madonna del Rosario.
Su iniziativa dell'Economo curato don Giacomo Bernardi e col beneplacito dell'allora arciprete don Domenico Morea, nel 1875, venne completata la costruzione del campanile. Questo ampliamento consentì di collocare, in occasione della festa dei Santi Medici, il 27 settembre 1877, un'altra campana di 5,00 ql., dono del devoto martinese Paolo Antonio Giuliani e fusa dalla ditta Giuseppe Olita di Lecce. Questa campana, nel 1898 si ruppe, venne rifusa e aumentata di peso, da ql. 5,00 a ql. 6,11, dalla stessa ditta Olita e il 22.1.1899, solennemente benedetta dal vescovo Antonio Lamberti e battezzata col nome di Cosmo e Damiano (a cambén d' Sand Còs'm i Attamièn), venne collocata sul campanile. La rifusione, compreso l'aumento di peso, costò lire 1190.

Nel 1885, le campane esistenti vennero trasferite sul nuovo campanile, edificato secondo il progetto del concittadino architetto Antonio Curri. Il 30 dicembre 1926, benedetta dal vescovo Mons. D. Lancellotti, venne collocata con difficoltà, dato il peso e le dimensioni, una campana di ql.18,00 offerta dal devoto Sante Lacatena (1850-1933), detto Sànd u màgghjl, che, con questo atto, ottempera ad un voto fatto ai Santi Medici durante i giorni di segregazione subiti in un trullo ubicato in contrada Lamione. Pare vi fosse stato rinchiuso da alcune persone,forse parenti, perché, essendo scapolo e senza eredi diretti, volevano costringerlo a donare loro lesue proprietà. Il Lacatena offre anche una campana alla chiesa di sant'Antonio e una alla chiesa di santa Lucia di Alberobello. Le tre campane furono fuse dalla ditta Nicola Giustozzi di Trani e costarono 53.000 lire, ma ci fu una controversia legale perché il donatore aveva dato al fonditore alcune monete d'argento per arricchire il suono del campanone e la ditta, forse accortasi del valore numismatico di quei soldi, non le fuse. Verso la fine degli anni Trenta del secolo scorso, a cambén du màgghjl si rompe, viene rimossa dal campanile, trasportata in fonderia, riparata e, con arduo impegno, ricollocata al suo posto. Nel suo testamento il Lacatena dispone che u cambanàun deve essere suonato gratis in occasione dei funerali dei suoi parenti, dei sacerdoti della parrocchia e dei poveri dell'ospizio di mendicità (u spdél di povrìedd), ora non più esistente, e tutti i giorni del mese di novembre dedicato ai defunti; a pagamento, invece, per i funerali dei ricchi. Attualmente le campane esistenti sul campanile di sinistra della nostra basilica sono quattro (escluse le due dell'orologio poste sul campanile di destra), qui elencate secondo l'ordine crescente di grandezza e di peso:
- a campanèdd (la campanella), fusa dalla ditta Giuseppe Olita di Lecce, datata 1866;
- a s'cònd (la seconda), recante la scritta: "Mortuos piango fulgua Franco vivos vaco opus affabre escudit Nicolaus Giustozzi et filius - Tranen 1938;"
- a camben d' Sand Còsm i Attamièn (la campana dei Santi Cosmo e Damiano), rifusa dalla ditta Francesco Olita di Giuseppe di Lecce, datata 1898;
-a camben du màgghjl, (la campana di Sante Lacatena, soprannominato "il maglio"), chiamata anche u cambanàun (il campanone), fusa dalla ditta Nicola Giustozzi di Trani, datata 1926.

Fino a pochi decenni addietro, la vita quotidiana della nostra comunità, similmente a tutte le altre dell'Europa cristiana, era scandita dal suono delle campane che, così, assolvevano ad un vero e proprio bisogno. L'orologio era privilegio di pochi benestanti e l'unico modo, per tutti gli altri, contadini in prevalenza e pochi artigiani, per conoscere lo scorrere del tempo, era quello di lasciarsi guidare dal sole o dai rintocchi delle campane. Non solo la giornata, ma l'intera esistenza era segnata dalle campane che venivano suonate manualmente dai sacrestani. La cronologia mattinale e vesperale si basava principalmente su fatti naturali dipendenti dal movimento solare.
Ad Alberobello, le ore, corrispondenti ad una azione liturgica, ma che contrassegnavano anche la vita del popolo, erano le seguenti:
Mat'tèin = Angelus mattutino, celebrava la fine della notte e coincideva con l'alba, non col levare del sole, né con l'aurora, che sono momenti distinti; annunciava l'ora di alzarsi per andare a lavorare (la lunga giornata di lavoro durava dall'alba al tramonto del sole); 3-5-7 rintocchi con la campana di san Cosmo;
Suspratòur =annunciava la morte di un cittadino; si suonava subito dopo l'Angelus mattutino con la campana di san Cosmo, a martello, un colpo, a intervalli, per 25 volte e, alla fine, tre rintocchi di seguito se il defunto era maschio e due se era donna; se bambino si suonava la campanella a festa;
Tre campane si suonavano, a pagamento, per i defunti di famiglia benestante. Per i sacerdoti si suonavano i camben ad àrm, tutte le campane a stormo.
Prima mèss = prima messa, alle ore 6,00 d'inverno o alle 7,00 d'estate, suono della campana di san Cosmo con 3-5-7 rintocchi. Chiamava i fedeli per assistere alla celebrazione.
M'nzadèj =mezzogiorno, alle ore 12,00; 3-5-7 rintocchi con la campana di san Cosmo. Invitava tutti ad una sosta, molto necessaria per chi lavorava nei campi e, gli artigiani, a chiudere le botteghe per consumare il pranzo.
In proposito si vuole ricordare che, a partire dall'inizio degli anni Venti e fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, il 10 giugno1940, ogni giorno, alle ore dodici, per tutta la nostra cittadina ed anche per le campagne circostanti, echeggiava altissimo il suono della sirena dell'officina meccanica di Pietro Melchiorre (Mèst Pìet), che segnava la pausa per i suoi operai, ma che recava così anche un utile servizio alla comunità. Fu interdetta perché doveva essere suonata, da quella data, solo in caso di allarme aereo.
Vind'àur =venti ore, alle ore 14,00 o 15,00, secondo le stagioni; 15 coppie di colpi con la seconda campana; segnava il ritorno al lavoro e la ripresa delle attività artigianali con la riapertura delle botteghe.
Vindquattàur = ventiquattr'ore; all'imbrunire, 3-5-7 rintocchi con la campana di san Cosmo; dava termine alla giornata di lavoro nelle campagne e invitava i fedeli a recarsi in chiesa per assistere "alla funzione serotina", e, quando il sacerdote officiante impartiva dall'altare la benedizione, si suonava la campana di san Cosmo (3-5-7 rintocchi) e tutti i cittadini, ovunque si trovassero, si fermavano, gli uomini si toglievano le coppole e, col segno di croce, recitavano i pat'rnuòst, il "Padre nostro", "l'Ave Maria'', il "Gloria al Padre" e "l'Eterno riposo" per i defunti.
Do àur d' nòtt =due ore di notte, alle ore 20,00 o 21,00; indicava la chiusura delle botteghe e ciascuno era invitato a fare ritorno al proprio focolare domestico.
Fino all'avvento della pubblica illuminazione elettrica, nei primi decenni del XX secolo, questa era l'ora in cui il lampionaio provvedeva a spegnere le luci dei pubblici fanali a petrolio o ad acetilene.

Nelle altre occasioni le campane si suonavano:
Per i funerali detti eh l'amàur d' Ddèj = con l'amore di Dio, per i poveri, si suonava la sola campana di san Cosmo, a martello, tre volte; le prime due, di preavviso, 20 rintocchi 10 e 5 minuti prima dell'ora fissata per il funerale, la terza, per tutta la durata delle esequie: dal momento dell'uscita dalla chiesa del sacerdote officiante che, accompagnato dal sacrestano portante una croce, si recava alla casa dell'estinto dove impartiva la prima benedizione alla salma, al ritorno in chiesa con la bara ed il corteo funebre e, dopo la messa , fino all'arrivo del feretro "all'ultm càsr", alle ultime case del paese sulla strada del camposanto, da dove, il sacerdote, impartita l'ultima benedizione, faceva ritorno in chiesa. Il mesto corteo, con tutti i partecipanti, lentamente raggiungeva il cimitero.
Per i funerali chi camben ad àrm =con le campane a stormo, i rintocchi di tre campane, la campanella, la seconda e quella di san Cosmo, accompagnavano il funerale dei sacerdoti e dei ricchi. A cambanedd = la campanella, a rintocchi doppi e veloci (2-2-2 ... ) si suonava ai funerali dei bambini (i murtcièdd).
I giorni festivi e le domeniche si suonavano le campane ad àrm (a stormo): a mezzogiorno (a m'nzadèj); al Gloria (alla Glòrj), la Resurrezione di Cristo il sabato Santo; al momento dell'uscita delle statue dei Santi Medici dalla chiesa per la processione della Festa Patronale; in occasione di solennità civili o ricorrenze importanti.

Agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, il suono delle nostre campane fu automatizzato con trasmissione elettrica a regolazione manuale. A partire dal 1994, è stato sostituito da un sistema automatico computerizzato con programmazione annuale che attualmente è in atto. L'automazione ha comportato alcune modifiche alle vecchie regole. Innanzitutto sono stati aboliti i vincoli, dettati dal donatore, per il "campanone'', che ora si suona in sostituzione della campana
dei Santi Medici ed anche assieme alle altre; è stato abolito il suono delle campane vindquatt'àur (ventiquattr'ore), all'imbrunire, e do àur d' nòtt (due ore di notte). Il suono delle campane giornalmente inizia alle ore 6,25, con l'Angelus mattutino, 3-5-7 rintocchi col campanone seguito, quando necessario dalla suspratòur; alle 6,30, nei giorni feriali ed alle 7,00, in quelli festivi, il campanone invita i fedeli alla messa; alle 12,00 ogni giorno, il campanone, con 3-5-7 rintocchi annuncia m'nzadèj (mezzogiorno); alle 15,00 o alle 16,00 la "campanella" suona vind'àur (venti ore); dalle 19,00 per tre volte, 20 rintocchi ogni quarto d'ora, invitano i fedeli alla messa vespertina. Solo nei giorni festivi alle 18,45 si suona l'Angelus con le campane a stormo.

Per noi alberobellesi, penso per moltissimi altri concittadini, l'emozione più profonda è quella che mi assale puntualmente ogni anno, il 27 di settembre, alle ore 11,00, sul sagrato, nel solenne momento quando le statue dei Santi Medici, uscendo per la processione, compaiono nello specchio del portale della basilica e le campane, tutte insieme, iniziano a suonare a stormo confondendo il loro piacevole allegro suono con quello della banda che intona un inno clamoroso.

Nella parrocchia di "Santa Maria del Rosario" di Roma, Giovanni Paolo II, a ricordo della visita alla fonderia di campane di Agnone, cosi si è espresso: è una bella cosa ascoltare il suono delle campane che cantano la gloria del Signore da parte di tutte le creature. E poi ciascuno di noi porta in se una campana molto sensibile: questa campana si chiama cuore. Questo cuore suona, suona e mi auguro sempre che il vostro cuore suoni sempre delle belle melodie; melodie di riconoscenza, di ringraziamento a Dio e di lode al Signore e che superi sempre le melodie cattive di odio, di violenza e di tutto ciò che produce il male nel mondo.

in memoria di Gino Angiulli, autore dell'articolo

don Peppino Contento, ottavo arciprete rettore della Basilica - Santuario dei santi medici Cosma e Damiano di Alberobello

on Peppino Contento nacque a Cernavoda, in Romania, il 27 marzo 1909. Ordinato prete il 25 luglio 1935 da mons. Domenico Argnani, venne inviato a Turi dal Vescovo di Conversano Mons. Gregorio Falconieri nel settembre del 1936.

Il primo ottobre iniziò il suo apostolato nella Casa di Reclusione in cui vi erano circa quattrocento detenuti, tra cui una cinquantina di ergastolani, tutti minorati fisici e psichici. Era ricco di ardore sacerdotale. Nei 18 anni in cui visse a Turi fece tantissimo bene, sia come cappellano sia come Vice Parroco. Poi, il 10 febbraio 1942, fu nominato Arciprete Parroco, e lo fece fino al 24 ottobre 1954, quando fu trasferito all'Arcipretura di Alberobello. Il 19 marzo del 1955, per le mani del Sindaco Dottor Giuseppe Resta, Turi lo insignì della medaglia d'oro e della cittadinanza onoraria.

Il Vescovo Mons. Gregorio Falconieri lo nominò Canonico Onorario della Insigne Collegiata di Turi: riconoscimenti meritatissimi. Mai dimenticò i turesi: a distanza di anni ricordava nomi, cognomi, soprannomi. 

Fu Arciprete esemplare e amato da tutti, seguito e ricordato sempre dai turesi che si recavano a far visita ai Santi Medici. Don Peppìne era considerato l'artefice del bel Tempio dedicato ai Santi Medici e molto amato dal popolo per i gesti caritativi.

Il 16 dicembre 2016, la città di Alberobello ha voluto commemorarlo nel 25° anniversario della sua scomparsa. L'arciprete don Leonardo Sgobba lo ha ricordato durante l'omelia della Messa celebrata per Lui, tracciandone un'ampia biografia. 

Di Lui così racconta la Sig.ra Carmela Salamida con una testimonianza pubblicata sul n.3, anno V pag 44 de La Piazza, periodico di vita cittadina di Alberobello. "Ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere don Peppino e di frequentarlo per lunghi anni. Da adolescente, essendo coetanea e amica delle sue nipoti, Lina e Maristella, insieme a loro, spessissimo, mi recavo in canonica a far compagnia a "zia Checchina": tutti chiamavamo così, affettuosamente, la sua devota e paziente sorella, che ci dispensava ottime ricette di cucina. Ancora oggi, nel io ricettario, le margherite di pasta frolla farcite di nutella, le zeppole, i babà, portano il marchio d'autore di zia Checchina! Lì, insieme a noi, c'erano sempre, in attesa dell'Arciprete, persone di ogni età e ceto, forestieri che volevano confermargli la loro amicizia oppure paesani che avevano bisogno di suggerimenti, di consigli, di aiuto per rivolgersi magari a un medico specialista o ad una struttura ospedaliera o per cercare un lavoro (in Italia o all'estero) o perché, con il suo intervento discreto ma fattivo, sanasse problemi o liti familiari. E don Peppino, arrivando sempre di corsa, si metteva subito all'opera: instancabile, diretto, a volte brusco ma sempre attento e disponibile con tutti. Aveva una vasta cerchia di conoscenze in ogni settore e non esitava a sfruttarle per chiedere di mandare avanti pratiche giacenti, di favorire assunzioni di lavoratori che lui personalmente garantiva come "volenterosi e onesti", di aiutare nelle scelte scolastiche e nell'iter di studi i tanti giovani che avevano fiducia e familiarità con lui. Chiedeva per gli altri, mai per sé. 

Erano gli anni '50-'60, gli anni ancora duri del dopoguerra e chissà quanti di noi ricordano le sue distribuzioni di viveri dell'Opera Pontificia ai più poveri e alle famiglie numerose! E quanti cuochi, camerieri, muratori ha aiutato nelle pratiche per emigrare e nel cercare riferimenti per sistemarsi degnamente in Francia, Germania, Svizzera, ... E lì, in canonica, poi, incontravo tanti di loro che, in occasione delle ferie o di qualche festività, tornavano ad Alberobello e venivano da lui a raccontargli di sé, della propria famiglia e del lavoro. Per dimostrare il loro grazie gli portavano o il pacchetto di caffè o la tavoletta di cioccolato che don Peppino ricusava, ma che noi ragazze apprezzavamo molto.

Andare in canonica era un piacere soprattutto perché, quando arrivava don Peppino e aveva un momento di tempo, ti faceva mille domande sulla tua vita e sulla scuola; immancabilmente ti dava una lezione di storia, di filosofia, di catechesi, ti suggeriva (per non dire ti imponeva) una lettura e immediatamente ti forniva il libro. Se così non fosse stato, chissà quando e se avrei letto Le confessioni di Sant'Agostino, la storia di un'anima di Santa Teresa di Lisieux e tanti altri libri formativi. E non finiva lì: quando glieli restituivi c'era l'interrogazione, la verifica! Mi ha seguita con premura e affetto nel mio cammino scolastico, mi ha affidato tanti studenti in difficoltà, e quando da universitaria gli comunicai che avevo scelto come esame complementare il romeno, di nuova istituzione presso la Facoltà di Lettere, ne fu felice e subito mi regalò un suo vecchio libriccino di grammatica romena e poi mi fece conoscere il suo amico, l'ottimo prof. Marin, docente di lingua e letteratura romena, che poi diventò il controrelatore nella seduta della mia laurea.

Don Peppino ha celebrato il mio matrimonio (conservo gelosamente il nastro registrato della cerimonia), ha battezzato le mie figlie e ha continuato ad essere vicino alla mia famiglia. Non era inconsueto che ci telefonasse a mezzanotte per chiedere qualche informazione, e al "Pronto" immancabilmente rispondeva "Prontissimo! Scusate l'ora ma io comincio adesso la mia giornata!". Infatti a fatica riusciva a ritagliarsi momenti di pausa e allora lo trovavi, nascosto in un angolo della Cappella del Sacramento, in raccoglimento, a pregare. Quando gli portavo le bambine a salutarlo, esordiva con la domanda: "Vuoi farti santa?", e di fronte alla perplessità di bambine di pochi anni continuava: "È facile! La ricetta è questa: basta fare bene tutto".

E potrei continuare ancora a lungo a ricordare, ma ripeterei cose e fatti che tutti sanno di questa esemplare figura di sacerdote super impegnato nel sociale, rigoroso, instancabile e premuroso, che riusciva ad essere direttore spirituale non solo dal confessionale, che predicava e praticava in prima persona come virtù primaria l'umiltà (chissà quanti al giorno d'oggi pensano che questa sia una virtù!). Ricordare don Peppino con queste testimonianze personali è stato per me un dovere morale e soprattutto un debito di riconoscenza".

 
a chiesa  rappresenta il fulcro della storia religiosa della città; di essa, qui  ad Alberobello,  si hanno parziali notizie di una chiesetta sin dal primo decennio del 1600.
 
La cronologia degli eventi:
  • 1609,  la chiesina di appena 32 mq, attribuita alla Madonna della Grazia, è  ubicata nell'antica Selva, e tra i Selvesi, a partire dal 1636,  germoglia il culto per i santi Cosma e Damiano;
  • nel  1665, il vescovo mons. Giuseppe Palermo la eleva a parrocchia, titolo  che rimarrà per un lustro, lo perderà per ingerenza della Famiglia  Acquaviva;
  • nel 1725 inizia ad ingrandirsi piu volte;
  • nel  1797, rinasce la volontà di fame una parrocchia, ma rimane vacante e  alle dipendenze di Noci fino al 1814, quando viene nominato il 1°  parroco-arciprete Vito Onofrio Lippolis (seguiranno fino ad oggi altri 10 arcipreti);
  • nel 1885 si inaugura l'attuale prospetto;
  • nel 1938 la chiesa diviene Santuario e nell'anno 2000 è Basilica Minore.

 

chiesa1885

 

Queste, cronologicamente, le tappe della prestigiosa Casa del Signore, da minuscola chiesa a grande scrigno fino a diventare, come suggerì, l'allora sac. Cosmo Francesco Ruppi, quando commissionò, intorno ai primi anni '70, un diaporama da proiettare in chiesa in occassione dei raduni riguardante il primo lunedì del mese riservato ai soli uomini, LA CASA DI TUTTI.

 

a leggenda vuole che il culto per Cosma e per Damiano sia stato introdotto in Alberobello da Giangirolamo II degli Acquaviva d'Aragona (1600-1665) e da sua moglie Isabella Filomarino (+ 1679), la cui famiglia, proveniente da Atri, si stabilì in Conversano sin dal XV secolo, a seguito del matrimonio di Antonio Acquaviva con Caterina del Balzo, la quale ebbe in dote da suo padre, Principe di Taranto, la contea e di conseguenza il dominio sulle terre di Alberobello, l'antica Silva arborelli, Arburbella o Taberna, come inizialmente venne indicata.

Non sappiamo cosa abbia spinto lo stesso feudatario, abile spadaccino, la cui fama sconfinava di gran lunga i suoi possedimenti, a inculcare nella gente locale il culto per i Santi Medici. Si sa dalla storia della sua Famiglia che diede al suo primogenito il nome Cosmo, nome che non figurava nell’albo genealogico del casato. Sembra, come sostiene Domenico Morea e, poi più tardi Gino Angiulli, che la famiglia abbia ricevuto un particolare miracolo, o, come si disse, fu la preghiera di donna Isabella ad invocarli, dopo cinque anni di matrimonio, per la sua prima gestazione. Comunque sia, da quel periodo, gli Acquaviva vollero coinvolgere nel loro vincolo di gratitudine oltre la comunità conversanese anche quella abitante la Selva. La devozione fu tale che ogni 27 settembre tutti prendevano parte ad una processione cresciuta nel tempo, tanto che dopo circa quattro secoli, la tradizione si ripete di anno in anno.

In quei tempi, prima delle statue, nel contado venne portato in processione un quadro con l'effigie della Madonna di Loreto e dei Santi anàrgiri. Inviato a Napoli per essere restaurato, il quadro non fece più ritorno. Si pensa che fino al maggio 1665, data della morte del Conte a Barcellona, fu la sua Famiglia a gestire il culto. I primi villici compresero che Dio aveva demandato loro l'attenzione verso Cosma e Damiano, infatti, nella piccola chiesetta rurale, essi avevano già provveduto ad effigiarli, come risultò a don Nicola De Tintis, parroco di Noci, inviato dal Vescovo per la Santa Visita il 5 marzo 1663. Il presule, mons. Giuseppe Palermo (1658-1670), Reggino intelligente e acuto, elevò a parrocchia (1665) la chiesina, abbastanza capiente e bella (satis capacem et nitidam), intitolata già a Cosma e Damiano, dotandola di un parroco e di due chierici per esimerla dalla tassazione regia. Soffro per tali mie iniziative molte tribolazioni da parte del Conte di Conversano, signore del luogo, ebbe a scrivere. Gli Acquaviva osteggiarono l’operato del Vescovo e si adoperarono a farlo trasferire nella piccola sede arcivescovile di Santa Severina (1670-1679) in provincia di Crotone.

Avendo perso i diritti parrocchiali, il tempietto tornò alle dipendenze della chiesa di Noci, non ebbe più il parroco e in sua vece venne nominato un cappellano, tale Francesco. In quella posizione giuridica restò fino al 1797. Il giovane sacerdote ebbe l'incarico dal Vescovo di aprire la chiesa all'alba e di chiuderla al tramonto e di celebrare nei giorni festivi la messa, di confessarli e di somministrare i sacramenti. La Contessa si era obbligata a passargli un carlino al giorno. Interrogando il cappellano, De Tintis apprese che, nei giorni festivi, per i villici, circa un centinaio, il sacerdote celebrava due messe. Quella primitiva comunità cristiana, credente e innamorata, si moltiplicò; crebbe nel clima della venerazione, soprattutto quando molti miracoli e parecchie grazie toccarono ad una parte della moltitudine implorante che ricevette la salute fisica e la redenzione spirituale. Tra i vantaggi di quei credenti vi furono tante guarigioni e Cosma e Damiano divennero straordinari.

Man mano la popolazione locale aumentò e la piccola chiesa non poté più contenerla. Si pensò di ingrandirla rispettando, quando più possibile, i vari affreschi esistenti. Nel corso degli anni, sull'altare venne collocato un quadro alto m 3 e largo m 2,40 della Beata Vergine Immacolata avente alla sua destra san Cosma e san Damiano e alla sinistra san Giuseppe e san Francesco da Paola. Il 27 settembre 1781, come narrano le cronache del periodo, un fatto curioso turbò la serenità della festa. Il brigante castellanese Nicola Spinosa, soprannominato Scannacornacchia, era in compagnia dei suoi sgherri e molestò gli ospiti convenuti per la festa in casa di Cosimo Petruzzi. La brigata venne tollerata. L'intervento di uno dei briganti fece desistere il capo dal commettere imprudenze che lo avrebbero poi compromesso agli occhi del conte di Conversano, Giulio Antonio IV. Si temette anche per la tela recata in processione quella stessa sera. Dopo quel fattaccio alcuni villici decisero di procurarsi delle statue. All’appello rispose Giuseppe Domenico Rinaldi, un contadino carico di fede innamoratosi anzitempo della bella ed espressiva statua di san Rocco in Noci (1775) del maestro Francesco Paolo Antolini di Andria, gli commissionò la realizzazione dei due simulacri, figure alquanto meditative, con l'espressione trasognata quella di san Cosma (1780) e ieratica l'altra di san Damiano (1784), diversa perché realizzata in un'altra bottega, essendo deceduto l’Antolini, da Luca Rinaldi, soprannominato u Tammurro nativo di Rutigliano, modellata finemente perfino nella morbidezza delle carni. Per questa ragione, i due simulacri appaiono adulti, anziché giovani, come li vuole la tradizione e gemelli (geminos fratres).

Eventi in Parrocchia

CoroBismantova2giu19

2 giugno, Festa della Repubblica Italiana

La Basilica

neipressi

Le Campane della Basilica in un articolo del prof. Gino Angiulli

Arcipreti & Prelati

interno

il dotto Domenico Morea "illustrato" dal dir. Modesto Cammisa