Nato ad Alberobello il 19 giugno 1865. Ordinato sacerdote il 22 settembre 1888, divenne arciprete di Conversano il 1905. Il 29 giugno 1915 venne consacrato Vescovo di Larino e nel 1924 di Ugento. Morì il 22 dicembre 1942.

"Io vi lascio. Vi lascio come lasciai, dopo 8 anni e 8 mesi, la Diocesi di Larino, a causa dei miei poveri dolori che mi rendono difficile il camminare". Sono queste le parole iniziali della lettera pastoraledell' "Addio supremo" di mons. Marco Antonio Lippolis, allorquando sicongedò dal clero e dal popolo di Ugento nel giorno dell'Immacolatadel 1932.

Quell'8 dicembre fu l'ennesima tappa terrena vissuta dal Vescovo, 1° prelato alberobellese, il Vescovo "Santo". Non è fuori luogo l'espressione, già in altra circostanza m'erano state riferite le qualità spirituali di mons. Lippolis e le sue parole dettate dal sentimento. La descrizione della santità la ritrovo, a distanza di anni, riportata in un articolo apparso il 2 gennaio 1943, dal titolo La morte di S. E. Mons. Lippolis, " ... Nessuna umana loquela potrebbe rendere l'esatta idea del valore dell'Uomo di Dio, scomparso dopo lungo tempo, lento e rassegnato soffrire. Le vecchie e giovani generazioni che hanno avuto la fortuna di godere il beneficio della sua saggia parola e delle sue opere fortuna di godere il beneficio della sua saggia parola e delle sue opere caritative non sanno ricordarlo che con il titolo di Santo". Di un Santo dunque si tratta. Il Nostro venne al mondo il 19 giugno 1865. Gli zii paterni si dissero pronti a versare la retta per il seminario di Conversano.

Conseguì la licenza liceale presso il Liceo Mamiani di Roma. L'arcivescovo Mazzella lo stesso anno in Bari lo ordinò sacerdote. In Roma si laureò in Sacra Teologia e nel seminario di Conversano accettò l'incarico d'insegnarla. Nella medesima città, nel 1905, venne nominato Arciprete-curato, per poi passare, dopo 10 anni, con decreto del 23 maggio 1915 alla Diocesi di Larino dove fu consacrato vescovo il 29 giugno. Il Consacrante lo esortò: "Prendi il bastone dell'ufficio pastorale, e sii pietosamente severo nel correggere i vizi, giudicando senza ira, esortando con dolcezza e non tralasciando di ammonire con sollecintudine"e nel porgergli la mitra, lesse la seguente formula "Imponiamo, o Signore, sul capo di questo Prelato e tuo guerriero l'elmo della fortezza e della salute, affinché col decoro dell'aspetto e con la bicorne armaturadel capo, simbolo del Vecchio e del Nuovo Testamento, apparisca formidabile agli avversari della verità e ne diventi strenuo propugnatore col favore della grazia tua, o Signore, che ti compiacesti di decorare il volto del tuo servo Mosè coi raggi del tuo splendore e della tua verità, e volesti che della tiara si ornasse il capo del Pontefice Aronne".

Mons. Marco Antonio fu ricevuto in udienza privata da papa Benedetto XV, che, congedandolo, lo spronò: "Vada, vada con animo lieto e con coraggio in quella diocesi. Vi troverà buone popolazioni che sapranno corrispondere alle sue apostoliche fatiche. lo benedico di cuore tutti, sacerdoti e fedeli, benedico lei, e la mia benedizione discenda copiosa e messaggera di celesti favori ".

A Larino, che contava 7310 abitanti, vi restò 8 anni. In Conversano che lasciò e in Larino, due antiche città adorne di vetusti monumenti, primeggiano le gotiche cattedrali dedicate entrambe alla Vergine Assunta e si venerano i santi protettori san Flaviano nell'una e san Pardo nell'altra, Vescovi martiri di regioni vicine dell'Oriente. Lì a Larino, dolori artritici iniziarono ad impedirgli di camminare. "Il Signore - egli ripeteva - non ha creduto di benedire le cure intraprese, ed io esclamo dal fondo del cuore, entusiasta del benevolo tratto di misericordia ch'Egli si degna di usarmi: Fiat voluntas tua!" .

Il clima freddo di Larino accrebbe le sofferenze ed egli pensò di trovare sollievo in un'altra sede vescovile: Ugento, in provincia di Lecce, dove venne destinato il 13 dicembre 1923; vi restò circa 9 anni. Lì, nonostante la mitezza del clima salentino, i dolori si acuirono; non metteva piu un passo senza l'uso del bastone, non uscì piu dal palazzo vescovile, né amministrò piu le cresime, si doleva di declinare l'invito dei diversi Sindaci che richiedevano la sua presenza all'inaugurazione delle cabine elettriche. Il cardinale Raffaello Carlo Rossi, Segretario della Sacra Congregazione Concistoriale, il 18 ottobre 1932 ricevette la supplica del Nostro di essere esonerato dal governare la Diocesi di Ugento e faceva voti di volersi ritirare come Oblato Eremita a Camaldoli. Il Santo Padre, avendo considerato le gravi condizioni del suo Vescovo, accettò la rinunzia e il 18 novembre lo nominò Vescovo titolare di Dionisiade e Amministratore apostolico di Ugento ad nutum S. Sedis (per volontà della Santa sede e senza limiti di tempo) con tutti i poteri di vescovo residenziale.

Don Marco Antonio sapeva che il clima di Camaldoli (1111 metri s.l.m.) era molto rigido durante l'inverno, temperato nella primavera e nell'autunno, dolce nei mesi estivi, ma egli desiderava respirare l'aura della pura solitudine, gustare la quiete che molce i sensi, ascoltare il silenzio inviolato e ritrovare i pensieri e gli affetti mai provati altrove. Prima di partire per Camaldoli il suo desiderio fu quello di rivedere i suoi concittadini, i figli delle parrocchie di Alberobello e di Conversano, i primi figli diocesani di Larino e quelli di Ugento, ma non poté farlo. Egli invitava sempre tutti con questa espressione: "Salviamoci l'anima e sia questo il primo, predominate pensiero della nostra vita. Se ci perdessimo, poveri noi! A che saremmo vissuti?".Quindi, la salvezza della sua anima e quella del popolo erano l'obiettivo da raggiungere, anche a costo di sacrifici personali. Per ottenere questo al Signore chiedeva di mortificare il suo corpo fino adtenere questo al Signore chiedeva di mortificare il suo corpo fino adun'indicibile tribolazione. lddio gliela diede. Ebbe il cancro alla lingua.

L'intenso freddo di Camaldoli lo rese, dunque, ancor piu debolee quel "gigante" iniziò a rattrappirsi. Ritornò nel suo paesello, nella casa del fratello Giuseppe, circondato da cure amorevoli. Tutta Alberobello, tre giorni prima della morte, si riversò in piazza Curri. Approssimandosi la fine , il vescovo Falconieri, l'arciprete Mastrangelo, don Pasquale Cantalupo portarono al Vescovo di Alberobello il Viatico in forma solenne e don Marco, sorretto dal nipote don Sebastiano, si affacciò per l'ultima volta al balcone, mentre la popolazione lo acclamava a gran voce, chiedendogli la benedizione. Il Vescovo non poté parlare; con sforzo mosse le labbra ed emise: "Arrivederci in Paradiso" e con ripetuti gesti salutò la folla. "Si riposò santamente in Dio il 22 dicembre 1942 - riferì don Giovanni Girolamo - e le imponenti esequie differite al 26 furono celebrate da tutte le nostre rappresentanze religiose e civili con affollatissimo popolo. Vi tenne il funebre pontificale lo stesso nostro vescovo dott. comm. mons. Falconieri che all'illustre malato aveva amministrato di persona tutti i Sacramenti. Col suo forbito e scultorio elogio ci commosse fino alle lagrime; presenziò tutto il Clero, le elette e numerose rappresentanze, seguite da una marea di popolo, fino al cimitero, dove il compianto feretro avrà sepoltura". L'anima di tutta la cittadinanza fu, vibrante di cordoglio, attorno alla salma del venerato vescovo perporgerle l'estremo saluto di lacrime e di preci.

Da Ugento un articolista riportò: "Nessuna umana loquela potrebbe rendere l'esatta idea del valore dell'Uomo di Dio, scomparso dopo lungo, lento e rassegnato soffrire. Le vecchie e le giovani generazioni, che hanno avuto la fortuna di godere il beneficio della sua saggia parola e delle sue opere caritative, non sanno ricordarlo che con il titolo di Santo. Egli è passato sulla terra facendo bene a tutti e nel modo piu svariato, industriandosi di nascondere la sua carità allo sguardo altrui. Preoccupato soltanto di piacere a Dio, il Santo Vescovo lavorava nel silenzio e nella preghiera senza ambizione alcuna, istruendo il suo popolo con la catechesi domenicale e con l'esempio di una vita tutta popolo con la catechesi domenicale e con l'esempio di una vita tutta pietà e mortificazione".

Per questo grande Figlio di Alberobello, il 29 aprile 1998, tramitegli alunni di due classi delle elementari, giunsero a Sua Santità Giovanni Paolo II brevi cenni biografici con la speranza d'essere esaltato come "faro di un disegno divino". Inobliabile suggello della sua venerabilità, fu una sua richiesta al Signore: "Voglio per me il piu grande dei mali" e l'ebbe. Quando qualcuno, dopo la visita nella casa paterna in piazza Curri, nel congedarsi gli riferiva che avrebbe pregato per lui, egli dalla sua scranna si agitava tutto per esprimere il suo aperto dissenso a gesti, giacché non poteva piu parlare.

Faceva comunque intendere a tutti che le sue sofferenze erano dono di Dio.

 

Tratto da: Arcipreti e Prelati di Alberobello, di Angelo Martellotta, AGA Editrice 2014, ISBN 978-88-9355-072-7

Mons. Cosmo Francesco Ruppi

Monsignor Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo emerito di Lecce è nato ad Alberobello il 6 giugno 1932, primo di quattro fratelli, due dei quali scomparsi stroncati dalla malattia e dalla sofferenza. Ha sperimentato, per prima, in famiglia la sua missione pastorale, esercitando le funzioni di padre, indicando la linea da seguire, tenendo unita la famiglia nei momenti di smarrimento e di difficoltà. Fù prima seminarista, faceva la spola tra il seminario di Conversano e quello di Molfetta e poi sacerdote (il 18 dicembre 1954 dal vescovo di Conversano Gregorio Falconieri). Aveva idee progressiste che gli derivavano dal suo ingegno non comune. Sempre amante della cultura e dell'arte è stato amico di artisti e di personaggi di rilievo; oltre che noto sacerdote, buon pedagogista, è stato anche ottimo conferenziere. Precisamente, il 29 giugno 1995, festa dei santi Pietro e Paolo, nell'Introduzione alla Guida di Alberobello Itinerario storico-artistico, edita dall'editore Capone di Lecce, e pubblicata dal prof. Angelo Martellotta, volle precisare: "La mia vocazione di pastore e ancor più le crescenti responsabilità affidatemi dal Signore, non mi hanno consentito di offrire alla mia città più di un modesto servizio educativo, religioso e spirituale, avviando un primo tentativo di archivio-biblioteca e accompagnando, per molti anni, il lavoro di incremento e sistemazione del Santuario dei santi medici Cosma e Damiano, che deve il suo attuale splendore allo zelo e alla tenacia del compianto arciprete mons. Giuseppe Contento. Se opere d'arte sono entrate in questo Santuario lo si deve appunto all'azione congiunta che si fece con don Peppino, con la doverosa awertenza che il meglio e il pù è stato fatto da lui, avendo io raccolto la sua eredità e avendo potuto anche sostenerne e, talvolta, dirigerne gli orientamenti artistici e strutturali".

Il 13 maggio 1980 fu eletto vescovo delle diocesi di Termoli e Larino, unite in persona episcopi (in plena unione dal 30 settembre 1986). Ricevette l'ordinazione episcopale il 29 giugno 1980 dal cardinale Corrado Ursi (consacranti: arcivescovo Guglielmo Motolese, vescovo Antonio D'Erchia) in Piazza del Popolo ad Alberobello. A 48 anni fece il suo ingresso in Termoli come Vescovo, ove fu guida spirituale e materiale per quella Chiesa. Se non fosse diventato prelato, avrebbe certo raggiunto mete ben alte nel campo della politica e gli amici politici sono stati infiniti; in tanti l'han sempre cercato, perché don Cosimo era don Cosimo. Ci viene di pensare ad Aldo Moro che in uno dei suoi numerosi contatti con le città pugliesi durante i suoi lunghi tours elettorali, nonostante l'eccessiva stanchezza, aveva in tarda serata dimenticato letteralmente, dopo i comizi tenuti qua e là, di passare per Alberobello, dov'erano ad attenderlo don Cosimo e don Peppino. La troupe elettorale dovette cambiare rotta, nessun rimando al giorno dopo, niente riposo. A notte fonda lo Statista era davanti ai due sacerdoti.

Nel servire la Chiesa di Roma, è stato prima a Termoli e a Larino, dal 13 maggio 1980, e successivamente a Lecce con la nomina ad Arcivescovo Metropolita dal 7 dicembre 1988 al 16 aprile 2009, da dove per raggiunti limiti d'età tornò alla sua diletta Alberobello. Così egli ebbe a dire sempre nell'Introduzione alla Guida Capone: In tanti anni di lontananza, in Molise, prima, e ora nel Salento, non ho mai dimenticato Alberobello, né l'ho dimenticata nei diversi incontri che ho avuto con il vicario di Cristo Giovanni Paolo II, fino all'ultimo del 17-18 settembre 1994, quando gli ho dovuto spiegare cos'erano quelle casedde, illustrate in un dipinto posto a fianco della Sua scrivania nel soggiorno leccese, chiedendo una speciale benedizione per una terra che porto sempre nel cuore e alla quale, finché potrò, mi sforzerò di recare giovamento. La stessa Fondazione Giovanni XXIII, da me tenacemente voluta, insieme a pochi altri compianti fondatori, è un segno tangibile di un amore immenso, che porto sempre alla mia dilettissima Mamma e alla non meno diletta Alberobello. I trulli natii sono dipinti in alto nel suo blasone episcopale e si possono ammirare nel Museo.

Tutta la sua opera non si sarebbe compiuta senza la sua fede, la formazione robusta, il coraggio e la preveggenza. Il suo corpo riposerà nella Cattedrale di Lecce se si realizzerà il progetto di un sepolcro, secondo le sue intenzioni testamentarie, mentre dal giorno delle esequie, 31 maggio 2011 (il decesso avvenne il 29) , è nella cappella cimiteriale di Alberobello, in quella ch'egli volle esattamente 40 anni fa (fu inaugurata il 14 maggio 1972) insieme ad altri sacerdoti, affinché fosse destinata casa per il suo riposo eterno.

Ha svolto attività giornalistica, oltre che sulla Gazzetta del Mezzogiorno e l'Osservatore Romano, al Corriere del Giorno di Taranto, Famiglia Cristiana, Avvenire, Ora del Salento e Radio Maria, nonché la rubrica religiosa dedicata al Vangelo ogni domenica su Telenorba sin dalla fondazione dell'emittente televisiva di Conversano.
Una delle sue frasi più celebri, pronunciata durante un discorso alla città in piazza Duomo, è stata: «La Chiesa è povera, ma ricca di poveri!». Con essa volle riassumere le dure condizione in cui si trova la Chiesa nel suo quotidiano adoperarsi per i bisognosi. In un'altra occasione per ribadire l'indipendenza della Chiesa dalle pressioni di natura politica affermò in un celebre discorso: «Il vostro arcivescovo è servo di tutti, ma non è servo di nessuno!». Autore di diversi libri. Ha fine carriera ha collaborato con L'Osservatore Romano con la rubrica "Il Santo del Giorno" in collaborazione con la RAI su Radio Uno.

donPeppinoContento

Città natale Cernavoda (Romania), nacque il 27 marzo 1909 secondo il calendario ortodosso, mentre per il calendario cattolico corrispondeva al 9 aprile 1909. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1935, già arciprete di Turi dal 1941, fu immesso nel nostro Santuario il 25 ottobre 1954. Morì il 16 dicembre 1991.

Subito dopo il secondo conflitto mondiale dagli Stati Uniti pervennero attraverso il Piano Marshall per la ripresa europea numerosi aiuti. Alberobello ricevette, per le attività caritative dei cattolici americani, gli aiuti POA, Pontificia Opera Assistenza, che furono provvidenziali per la Parrocchia dei Santi Medici; a distribuire gli aiuti alimentari ci pensò il nuovo parroco, don Giuseppe Contento.

Don Peppino, così lo hanno sempre chiamato i suoi parrocchiani, fu ordinato presbitero il 25 luglio 1935, e il primo ottobre dell'anno successivo mons. Gregorio Falconieri lo inviò a Turi dove iniziò il suo apostolato come viceparroco e cappellano del carcere con 400 detenuti, dei quali 50 erano ergastolani, e verso cui si prodigò con abnegazione nell'esercizio della carità.

In questo paesino visse 18 anni e dedicò tutto il suo apostolato. Amava le posizioni chiare, limpide, lineari, senza mezzi termini e, una volta stabilita una meta, cercava di raggiungerla con grande tenacia". Protestò per i diritti usurpati alla proprietà della chiesa di Santa Maria Assunta allorquando il Comune si appropriò del suolo accanto alla stessa e realizzò il mercato. Segnalò l'usurpazione, chiese il risarcimento dei danni e ne domandò la rimozione.

Il 19 marzo 1955, nel Palazzo Comunale alla presenza delle Autorità, del Consiglio comunale e di mons. Gregorio Falconieri, in modo solenne il sindaco, dr. Giuseppe Resta, volle conferire al Nostro, Canonico Onorario dell'Insigne Collegiale Capitolo di Turi, la Medaglia d'Oro con pergamena a ricordo imperituro della gratitudine filiale che la cittadinanza di Turi gli portava per l'incommensurabile entità di bene elargito fin dal suo arrivo. "Egli è restato e resterà - ebbe a dire il Sindaco - nell'animo nostro come un esempio luminoso di amore cristiano e, soprattutto, come un esempio di infaticabile guaritore di anime, di solerte bonificatore di coscienze, di insonne miglioratore delle condizioni spirituali del nostro popolo, di Angelo luminoso di bontà e di cristiana carità. I poveri, i diseredati, i derelitti non l'hanno dimenticato e non lo dimenticheranno; con essi Turi tutta avrà memoria di Lui, se è vero come è vero che il cuore di una città o di un paese si misurano dall'accostamento che esso ha verso i più umili, i meno provveduti, i più poveri, i meno fortunati.

Nominato arciprete di Alberobello curò con grande generosità ed abdicazione il restauro del santuario che ormai presentava un elevato grado di pericolosità. Infatti i muri, molto inumiditi, causavano la caduta di calcinacci e di frammenti di cornici; profonde erano le lesioni alle colonne del pronao, mentre le finestre delle absidi presentavano a causa delle spinte laterali vistose crepe. Impellenti restauri urgevano per assicurare stabilità, conservazione e per impedire ulteriori deterioramenti. Fu la Soprintendenza che, senza perdere altro tempo, sollecitò i lavori di consolidamento, preoccupazione espressa anche dall'Ufficio del Genio Civile di Bari, e assicurò che sarebbe stato inizialmente lo Stato ad accollarsi l'intero ammontare del restauro, salvo poi a rivalersi della somma investita. Grazie all' on. Aldo Moro, allora Ministro della Pubblica Istruzione, con proprio decreto dispose che all'Ente chiesa si sostituisse lo Stato nell'eseguire i lavori di copertura e di impostazione per la cupola progettata dal Curri (questa sarebbe costata 30 milioni di lire circa). Tutto venne finanziato dal Provveditore Regionale ai Lavori Pubblici. Vennero demolite tutte le volte, furono consolidati i piloni destinati a reggere la cupola, si diede inizio ad erigere il braccio sinistro. Dal tetto sventrato la luce solare si riverberava sugli altari, in tutti gli angoli e sui calcinacci. Nel 1962 i lavori di stucco e di doratura delle pareti furono eseguiti dalla ditta Nicola Solenne, su progetto di Francesco Turchiano, autore dei quattro evangelisti. Altare maggiore era stato demolito e venne acquistato dalla chiesa di san Giovanni di Turi, dov'è tuttora visibile. [iscrizione in lettere romaniche alte 10 centimetri del nuovo altare venne dettata da mons. Cosmo Francesco Ruppi; i pannelli e gli amboni furono creati dallo scultore Giuseppe Pirrone. Per ogni descrizione dell'interno si rimanda al contenuto della Guida storica e artistica della Basilica. Vennero realizzati i pavimenti in pietra di Trani, mentre una lingua in granito Rosso Tranas collegò l'ingresso al nuovo altare. Finché la parrocchia venne retta da don Peppino Contento, essa
continuò ad arricchirsi del portale e di quadri di Adolfo Rollo e di Onofrio Bramante. Nel 1982 ci si preoccupò per la staticità dei due campanili, soprattutto quello di destra, per il leggero movimento roto/traslatorio; era divenuto un serio pericolo. S'intervenne successivamente per entrambi e i lavori furono portati a termine il 29 agosto 1989. In 200 anni dall'inizio reale della Parrocchia, 16 marzo 1814, la chiesa dedicata ai santi martiri Cosma e Damiano si può affermare con fierezza non è stata mai così bella. Quello stesso mese di agosto 1989, don Peppino scrisse sul Programma
della festa patronale: "Le prossime solennissime celebrazioni dei Santi Medici e Martiri Cosma e Damiano mi offrono l'occasione per rivolgere a tutti i cari cittadini, vicini e lontani e a tutti i devoti un cordiale saluto di commiato, perché io ormai ottuagenario, sono costretto, a causa delle mie malferme condizioni di salute, di cedere il mio posto di Arciprete Parroco a un nuovo Arciprete nella degnissima persona che la Provvidenza ci manda don Giovanbattista Martellotta, già Parroco della chiesa del Carmine di Conversano. Egli sarà coadiuvato nel suo lavoro pastorale dal Vice parroco don Nicola Redavid e da me, nei limiti del possibile".

Arciprete MastrangeloGiovanni Battista Mastrangelo nacque a Putignano il 19 novembre 1887. Il sacerdote, divenuto arciprete di Alberobello, prese possesso della parrocchia dei santi medici Cosma e Damiano il 27 giugno 1939. Morì l'11 dicembre 1946.
Il periodo storico era particolarissimo; ci troviamo alla fine della seconda guerra mondiale.
 
L'Italia, come il resto d'Europa, era a pezzi. Tra gl'lnglesi e gli Americani era nata una stretta collaborazione politica per combattere il nazifascismo e ripristinare negli Stati oppressi la democrazia. Quello che a prima vista sembrò la fine della 2a guerra mondiale si trasformò in guerra civile e, caduta Berlino, arresosi il Giappone, in Italia crollò la Repubblica Sociale. La Resistenza iniziò il 1939 nel nord Europa e si propagò anche in Italia e mise fine all'Era fascista. Vennero liberati negli anni successivi i campi di sterminio (Auschwitz, Birchenau,Treblinka, ... ), si chiuse il campo di concentramento di Alberobello. Soprattutto i primi campi avevano apportato lutto a milioni di Ebrei e a persone che professavano idee politiche diverse, mentre ad Alberobello ebbero salva la vita. Il gruppo degli Ebrei, dapprima cinquanta nel 1940, tranne piccoli movimenti in arrivo o in partenza, rimase sostanzialmente omogeneo per circa 2 anni; nel 1942 contenne un centinaio di internati, erano slavi della Venezia Giulia, della Slovenia e della Dalmazia rastrellati dalle forze militari italiane di occupazione in Jugoslavia. Nello stesso periodo giunsero Ebrei italiani, anarchici, in Jugoslavia. Nello stesso periodo giunsero Ebrei italiani, anarchici, antifascisti, apolidi di nazionalità russa o polacca. Il Campo di concentramento di Alberobello cessò le sue funzioni il 6 settembre 1943. Continuò a funzionare e ospitò i soldati dell'Esercito italiano della divisione"Piceno" per circa due mesi. Nel febbraio 1944 divenne luogo d'asilo per profughi stranieri; nel 1945, fino all'anno seguente, fu Colonia di Confino politico; nel 1947 e per tutto il 1948 il Campo accolse donne slave senza documenti e famiglie di Ungheresi, di Bulgari e di Albanesi, profughe dai loro Paesi. Vi trovarono rifugio anche gli ex ufficiali della Lufwaffe tedesca per sfuggire alla cattura da parte di emissari sovietici. 

In questo periodo il can. dott. Giovanni Battista,  zelante decurione dell'Unione dei Cooperatori Salesiani, svolgeva il suo apostolato di parroco-arciprete in Turi, e poi passò a guidare la Chiesa di Alberobello. È stato considerato grande benefattore e fervente imitatore delle virtù dell'Ordine di Giovanni Bosco, il santo che ebbe anche il merito di prevenire le devianze e di avviare i giovani al lavoro. Il Nostro "improntò di prevenire le devianze e di avviare i giovani al lavoro. Il Nostro improntò il sacro ministero allo spirito di don Bosco, diffondendo ovunque la devozione al santo. Di molti curò l'istruzione e la conversione al Cattolicesimo, degli altri, rispettosissimo com'era, rimase buon amico.
 
Laureato in matematica, nel 1924, insegnò negli istituti salesiani di Taranto e di Cisternino, recandovisi con notevoli difficoltà e soprattutto per aiutare in particolar modo i suoi confratelli. Visse di fede e di pietà, fu umile e modesto, consacrò se stesso al bene delle anime e di quella parte della popolazione che in quel particolare momento aveva bisogno di aiuto materiale; si prodigò in maniera generosa, conscio della sua missione sacerdotale. Sostenne con la fede e con la parola le sante confessioni. Per i molti popolani aveva la parola buona, il consiglio sapiente e l'aiuto che si materializzava con la partecipazione alle necessità e ai dolori. Trascurò se stesso per il bene delle anime, lasciando ai suoi poveri quel poco che gli era rimasto. Prodigò le sue belle doti di mente e di cuore con particolare fervore verso il Santuario, uno di piu frequentati e importanti del Meridione, attestato dalle folle straordinarie di devoti di ogni estrazione sociale, di differente età, che lasciavano preziosi doni o prenotavano celebrazioni eucaristiche e litanie durante tutto l'anno. Grazie ai nostri emigrati, anche in quel periodo, in parecchie città delle Americhe il culto per Cosma e per Damiano crebbe, diffondendosi con l'erezione di piccole chiese e con la realizzazione di statue identiche nelle fattezze alle nostre e, al pari della loro città di origine, solennizzano la festa il 27settembre.
 
Sotto l'arcipretura di Mastrangelo si pose mano alla rimodulazione della scalinata del santuario, trasformandola da circolare in forma trapezoidale, cosa che l'allora soprintendente ai Monumenti, Franco Schettini, non condivise e ordinò il ripristino ma le pressioni e la risolutezza di d. Gian Battista Mastrangelo avrà la meglio e alla fine la spuntò.

In questo periodo la Festa dei Santi Medici non fu effettuata il 27 settembre del 1943 annulando la processione dei pellegrini delle 11,05 e quella degli alberobellesi del 28 settembre delle ore 17,05.
 
da: tratto dal testo di Angelo Martellotta - Arcipreti e Prelati di Alberobello - ed AGA, Alberobello, 2018

Don LeonardoSgobbaCittà natale Alberobello, è nato il 9 dicembre 1949. Ordinato sacerdote il 6 luglio 1974, è stato nominato arciprete il 12 ottobre 2012.

Negli ultimi anni molti fattori di cambiamento hanno trasformato l'economia e la società, passando da un'agricoltura specializzata ad un forte sviluppo delle attività terziarie nelle città e lungo le coste. Non è mancato il flusso emigratorio verso l'Europa e nel Nord Italia, dove l'apertura di novelli mercati ha richiesto nuova manodopera, determinando la definitiva scomparsa della tradizionale società contadina del Sud, nonostante i tentativi successivi dell'obbligo delle imprese a partecipazione statale a collocare nel Meridione il 60% dei nuovi impianti. La crisi petrolifera del 1973 modificò alla radice il problema del Mezzogiorno e vennero trasformate profondamente anche le prospettive nazionali e internazionali. Il miracolo economico che l'Italia conobbe negli anni Sessanta non fu continuo, ma a partire del 1973 s'innescò una spirale inflazionistica, ingenerando, perfino nella società operaia, abituata alla lotta dietro la spinta dei sindacati, effetti rigidi che condussero ad una pesante fase di stagnazione. I.:. industria italiana non fu piu competitiva rispetto all'estero, ma venne messa nelle condizioni di rinnovarsi; i salari vennero uniformati in tutta Italia e fu la causa del disincentivo a investire nel Meridione, generando disoccupazione, lavoro nero, minori consumi, stili di vita diversi. Tuttavia, si ebbero un grado di acculturazione differente, nuove forme associative e sistemi di relazioni sociali.

Fu in questo clima che don Leonardo venne ordinato sacerdote il 6 luglio 1974 nella chiesa dei Santi Medici dal vescovo mons. Antonio D'Erchia; si prostrò davanti all'altare, gesto che "per i sacerdoti indica l'abbandono nelle mani Dio, lasciare agire Dio, affinché egli compia la sua azione salvifica nella vita del sacerdote e in quelli di tutti gli uomini lungo la storia". Rimase in Parrocchia, contribuendo anch'egli in quegli anni all'evoluzione del tempio cristiano, affiancando l'opera inesauribile di don Giuseppe Contento e, dopo 13 anni di sacerdozio, come viceparroco in Alberobello, il 10 ottobre 1987, venne destinato alla parrocchia Regina Pacis di Monopoli, dove vi rimase per 10 anni per poi trascorrere altri due lustri in quella di Polignano a Mare e gli ultimi 5 anni a contatto con i fedeli di Santa Maria del Carmine in Pezze di Greco.

Probo e rispettoso dei santi Cosma e Damiano, ha sempre sostenuto che v'è un momento della sua vita particolarmente affascinante e che si ripete ogni anno nel giorno della festa dei Santi ch'egli venera; soprattutto è la fila dei pellegrini a commuoverlo, che, camminando nella notte buia, giungono a piedi per radunarsi davanti al santuario e ascoltare la messa, prima che sorga l'alba.

Nel 2020, causa l'esplosione della pandemia virale Covid-19 la festa civile dei Santi Medici non fu effettuata come anche le processioni del 27 e del 28 settembre.

da: Angelo Martellotta - Arcipreti e Prelati di Alberobello - ed AGA, Alberobello, 2018

Eventi in Parrocchia

CoroBismantova2giu19

2 giugno, Festa della Repubblica Italiana

La Basilica

neipressi

Le Campane della Basilica in un articolo del prof. Gino Angiulli

Arcipreti & Prelati

interno

il dotto Domenico Morea "illustrato" dal dir. Modesto Cammisa