Arcipreti & Prelati

Mons Giuseppe FavaleLe nostre Città hanno sempre avuto un rapporto intenso con i Pastori che sono stati via via chiamati a guidare le comunità cristiane, riconoscendo in loro non solo i maestri della fede, ma spesso anche i maestri di vita. Tanti di noi possono raccontare episodi particolari che hanno inciso nella maturazione della propria personalità, dove sono stati protagonisti i Parroci della fanciullezza e dell'adolescenza! Uomini che nella loro semplice umanità e solida spiritualità, accompagnate il piu delle volte da profonda cultura, hanno impresso un segno indelebile, poiché hanno trasmesso insegnamenti e valori che continuano ancora ad orientare le scelte della vita. Conoscere i nomi, le storie e - quando è possibile - i volti di coloro che hanno formato intere generazioni di uomini e di credenti è piu che doveroso, per non lasciar cadere nell'oblio figure che molte volte hanno fatto la storia delle nostre Città.

In queste pagine, raccogliendo il lavoro realizzato da Angelo Martellotta con il volume Arcipreti e Prelati di Alberobello, abbiamo raccolto brevi schede biografiche che consentono di conoscere non solo i dati anagrafici dei singoli Sacerdoti, ma anche le caratteristiche personali e i fatti salienti accaduti negli anni del ministero svolto nella Parrocchia di Alberobello. Sono dei flash che opportunamente inquadrano le singole figure nel contesto del loro tempo; questo sfondo storico risulterà poi utile per comprendere le linee di azione dei Parroci che si sono succeduti fino ai nostri giorni nella guida della comunità. Non poteva mancare, infine, un riferimento a quelli che giustamente sono riconosciuti come i figli piu illustri del clero cittadino, perché chiamati al ministero episcopale: mons. Marco Antonio Lippolis e mons. Cosmo Francesco Ruppi. Pur vivendo in tempi e contesti sociologici differenti, con il loro zelo pastorale entrambi hanno lasciato tracce indelebili nelle Diocesi loro affidate. Auguro che chi accosterà a leggere queste pagine si senta sollecitato a guardare con simpatia i propri Pastori, a star loro vicino, offrendo il sostegno e la collaborazione pastorale per rendere sempre piu belle e dinamiche le comunità di appartenenza. Grazie a Dio è passato il tempo in cui il Parroco si sentiva "padrone" e gestiva da solo la vita delle Parrocchie! Oggi tutti i battezzati sono invitati a sentirsi corresponsabili della vita della comunità, ciascuno mettendo a frutto i propri talenti, in spirito di servizio e mai di rivalsa. Anche il cammino di riscoperta della sinodalità, che la nostra Diocesi ha intrapreso dal passato anno pastorale, è stato voluto proprio per rimettere al centro della vita parrocchiale l'intero popolo di Dio. Una Chiesa viva e feconda è quella dove ciascuno, nella fedeltà alla propria vocazione, non guarda dall'esterno i fatti che accadono ma li vive dal di dentro, lasciandosi coinvolgere nella dinamica dell'evangelizzazione.

da: Prefazione di mons. Giuseppe FAVALE, dal testo di Angelo Martellotta - Arcipreti e Prelati di Alberobello - ed AGA, Alberobello, 2018

Arciprete MastrangeloGiovanni Battista Mastrangelo nacque a Putignano il 19 novembre 1887. Il sacerdote, divenuto arciprete di Alberobello, prese possesso della parrocchia dei santi medici Cosma e Damiano il 27 giugno 1939. Morì l'11 dicembre 1946.
Il periodo storico era particolarissimo; ci troviamo alla fine della seconda guerra mondiale.
 
L'Italia, come il resto d'Europa, era a pezzi. Tra gl'lnglesi e gli Americani era nata una stretta collaborazione politica per combattere il nazifascismo e ripristinare negli Stati oppressi la democrazia. Quello che a prima vista sembrò la fine della 2a guerra mondiale si trasformò in guerra civile e, caduta Berlino, arresosi il Giappone, in Italia crollò la Repubblica Sociale. La Resistenza iniziò il 1939 nel nord Europa e si propagò anche in Italia e mise fine all'Era fascista. Vennero liberati negli anni successivi i campi di sterminio (Auschwitz, Birchenau,Treblinka, ... ), si chiuse il campo di concentramento di Alberobello. Soprattutto i primi campi avevano apportato lutto a milioni di Ebrei e a persone che professavano idee politiche diverse, mentre ad Alberobello ebbero salva la vita. Il gruppo degli Ebrei, dapprima cinquanta nel 1940, tranne piccoli movimenti in arrivo o in partenza, rimase sostanzialmente omogeneo per circa 2 anni; nel 1942 contenne un centinaio di internati, erano slavi della Venezia Giulia, della Slovenia e della Dalmazia rastrellati dalle forze militari italiane di occupazione in Jugoslavia. Nello stesso periodo giunsero Ebrei italiani, anarchici, in Jugoslavia. Nello stesso periodo giunsero Ebrei italiani, anarchici, antifascisti, apolidi di nazionalità russa o polacca. Il Campo di concentramento di Alberobello cessò le sue funzioni il 6 settembre 1943. Continuò a funzionare e ospitò i soldati dell'Esercito italiano della divisione"Piceno" per circa due mesi. Nel febbraio 1944 divenne luogo d'asilo per profughi stranieri; nel 1945, fino all'anno seguente, fu Colonia di Confino politico; nel 1947 e per tutto il 1948 il Campo accolse donne slave senza documenti e famiglie di Ungheresi, di Bulgari e di Albanesi, profughe dai loro Paesi. Vi trovarono rifugio anche gli ex ufficiali della Lufwaffe tedesca per sfuggire alla cattura da parte di emissari sovietici. 

In questo periodo il can. dott. Giovanni Battista,  zelante decurione dell'Unione dei Cooperatori Salesiani, svolgeva il suo apostolato di parroco-arciprete in Turi, e poi passò a guidare la Chiesa di Alberobello. È stato considerato grande benefattore e fervente imitatore delle virtù dell'Ordine di Giovanni Bosco, il santo che ebbe anche il merito di prevenire le devianze e di avviare i giovani al lavoro. Il Nostro "improntò di prevenire le devianze e di avviare i giovani al lavoro. Il Nostro improntò il sacro ministero allo spirito di don Bosco, diffondendo ovunque la devozione al santo. Di molti curò l'istruzione e la conversione al Cattolicesimo, degli altri, rispettosissimo com'era, rimase buon amico.
 
Laureato in matematica, nel 1924, insegnò negli istituti salesiani di Taranto e di Cisternino, recandovisi con notevoli difficoltà e soprattutto per aiutare in particolar modo i suoi confratelli. Visse di fede e di pietà, fu umile e modesto, consacrò se stesso al bene delle anime e di quella parte della popolazione che in quel particolare momento aveva bisogno di aiuto materiale; si prodigò in maniera generosa, conscio della sua missione sacerdotale. Sostenne con la fede e con la parola le sante confessioni. Per i molti popolani aveva la parola buona, il consiglio sapiente e l'aiuto che si materializzava con la partecipazione alle necessità e ai dolori. Trascurò se stesso per il bene delle anime, lasciando ai suoi poveri quel poco che gli era rimasto. Prodigò le sue belle doti di mente e di cuore con particolare fervore verso il Santuario, uno di piu frequentati e importanti del Meridione, attestato dalle folle straordinarie di devoti di ogni estrazione sociale, di differente età, che lasciavano preziosi doni o prenotavano celebrazioni eucaristiche e litanie durante tutto l'anno. Grazie ai nostri emigrati, anche in quel periodo, in parecchie città delle Americhe il culto per Cosma e per Damiano crebbe, diffondendosi con l'erezione di piccole chiese e con la realizzazione di statue identiche nelle fattezze alle nostre e, al pari della loro città di origine, solennizzano la festa il 27settembre.
 
Sotto l'arcipretura di Mastrangelo si pose mano alla rimodulazione della scalinata del santuario, trasformandola da circolare in forma trapezoidale, cosa che l'allora soprintendente ai Monumenti, Franco Schettini, non condivise e ordinò il ripristino ma le pressioni e la risolutezza di d. Gian Battista Mastrangelo avrà la meglio e alla fine la spuntò.

In questo periodo la Festa dei Santi Medici non fu effettuata il 27 settembre del 1943 annulando la processione dei pellegrini delle 11,05 e quella degli alberobellesi del 28 settembre delle ore 17,05.
 
da: tratto dal testo di Angelo Martellotta - Arcipreti e Prelati di Alberobello - ed AGA, Alberobello, 2018

donPeppinoContento

Città natale Cernavoda (Romania), nacque il 27 marzo 1909 secondo il calendario ortodosso, mentre per il calendario cattolico corrispondeva al 9 aprile 1909. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1935, già arciprete di Turi dal 1941, fu immesso nel nostro Santuario il 25 ottobre 1954. Morì il 16 dicembre 1991.

Subito dopo il secondo conflitto mondiale dagli Stati Uniti pervennero attraverso il Piano Marshall per la ripresa europea numerosi aiuti. Alberobello ricevette, per le attività caritative dei cattolici americani, gli aiuti POA, Pontificia Opera Assistenza, che furono provvidenziali per la Parrocchia dei Santi Medici; a distribuire gli aiuti alimentari ci pensò il nuovo parroco, don Giuseppe Contento.

Don Peppino, così lo hanno sempre chiamato i suoi parrocchiani, fu ordinato presbitero il 25 luglio 1935, e il primo ottobre dell'anno successivo mons. Gregorio Falconieri lo inviò a Turi dove iniziò il suo apostolato come viceparroco e cappellano del carcere con 400 detenuti, dei quali 50 erano ergastolani, e verso cui si prodigò con abnegazione nell'esercizio della carità.

In questo paesino visse 18 anni e dedicò tutto il suo apostolato. Amava le posizioni chiare, limpide, lineari, senza mezzi termini e, una volta stabilita una meta, cercava di raggiungerla con grande tenacia". Protestò per i diritti usurpati alla proprietà della chiesa di Santa Maria Assunta allorquando il Comune si appropriò del suolo accanto alla stessa e realizzò il mercato. Segnalò l'usurpazione, chiese il risarcimento dei danni e ne domandò la rimozione.

Il 19 marzo 1955, nel Palazzo Comunale alla presenza delle Autorità, del Consiglio comunale e di mons. Gregorio Falconieri, in modo solenne il sindaco, dr. Giuseppe Resta, volle conferire al Nostro, Canonico Onorario dell'Insigne Collegiale Capitolo di Turi, la Medaglia d'Oro con pergamena a ricordo imperituro della gratitudine filiale che la cittadinanza di Turi gli portava per l'incommensurabile entità di bene elargito fin dal suo arrivo. "Egli è restato e resterà - ebbe a dire il Sindaco - nell'animo nostro come un esempio luminoso di amore cristiano e, soprattutto, come un esempio di infaticabile guaritore di anime, di solerte bonificatore di coscienze, di insonne miglioratore delle condizioni spirituali del nostro popolo, di Angelo luminoso di bontà e di cristiana carità. I poveri, i diseredati, i derelitti non l'hanno dimenticato e non lo dimenticheranno; con essi Turi tutta avrà memoria di Lui, se è vero come è vero che il cuore di una città o di un paese si misurano dall'accostamento che esso ha verso i più umili, i meno provveduti, i più poveri, i meno fortunati.

Nominato arciprete di Alberobello curò con grande generosità ed abdicazione il restauro del santuario che ormai presentava un elevato grado di pericolosità. Infatti i muri, molto inumiditi, causavano la caduta di calcinacci e di frammenti di cornici; profonde erano le lesioni alle colonne del pronao, mentre le finestre delle absidi presentavano a causa delle spinte laterali vistose crepe. Impellenti restauri urgevano per assicurare stabilità, conservazione e per impedire ulteriori deterioramenti. Fu la Soprintendenza che, senza perdere altro tempo, sollecitò i lavori di consolidamento, preoccupazione espressa anche dall'Ufficio del Genio Civile di Bari, e assicurò che sarebbe stato inizialmente lo Stato ad accollarsi l'intero ammontare del restauro, salvo poi a rivalersi della somma investita. Grazie all' on. Aldo Moro, allora Ministro della Pubblica Istruzione, con proprio decreto dispose che all'Ente chiesa si sostituisse lo Stato nell'eseguire i lavori di copertura e di impostazione per la cupola progettata dal Curri (questa sarebbe costata 30 milioni di lire circa). Tutto venne finanziato dal Provveditore Regionale ai Lavori Pubblici. Vennero demolite tutte le volte, furono consolidati i piloni destinati a reggere la cupola, si diede inizio ad erigere il braccio sinistro. Dal tetto sventrato la luce solare si riverberava sugli altari, in tutti gli angoli e sui calcinacci. Nel 1962 i lavori di stucco e di doratura delle pareti furono eseguiti dalla ditta Nicola Solenne, su progetto di Francesco Turchiano, autore dei quattro evangelisti. Altare maggiore era stato demolito e venne acquistato dalla chiesa di san Giovanni di Turi, dov'è tuttora visibile. [iscrizione in lettere romaniche alte 10 centimetri del nuovo altare venne dettata da mons. Cosmo Francesco Ruppi; i pannelli e gli amboni furono creati dallo scultore Giuseppe Pirrone. Per ogni descrizione dell'interno si rimanda al contenuto della Guida storica e artistica della Basilica. Vennero realizzati i pavimenti in pietra di Trani, mentre una lingua in granito Rosso Tranas collegò l'ingresso al nuovo altare. Finché la parrocchia venne retta da don Peppino Contento, essa
continuò ad arricchirsi del portale e di quadri di Adolfo Rollo e di Onofrio Bramante. Nel 1982 ci si preoccupò per la staticità dei due campanili, soprattutto quello di destra, per il leggero movimento roto/traslatorio; era divenuto un serio pericolo. S'intervenne successivamente per entrambi e i lavori furono portati a termine il 29 agosto 1989. In 200 anni dall'inizio reale della Parrocchia, 16 marzo 1814, la chiesa dedicata ai santi martiri Cosma e Damiano si può affermare con fierezza non è stata mai così bella. Quello stesso mese di agosto 1989, don Peppino scrisse sul Programma
della festa patronale: "Le prossime solennissime celebrazioni dei Santi Medici e Martiri Cosma e Damiano mi offrono l'occasione per rivolgere a tutti i cari cittadini, vicini e lontani e a tutti i devoti un cordiale saluto di commiato, perché io ormai ottuagenario, sono costretto, a causa delle mie malferme condizioni di salute, di cedere il mio posto di Arciprete Parroco a un nuovo Arciprete nella degnissima persona che la Provvidenza ci manda don Giovanbattista Martellotta, già Parroco della chiesa del Carmine di Conversano. Egli sarà coadiuvato nel suo lavoro pastorale dal Vice parroco don Nicola Redavid e da me, nei limiti del possibile".

donGiovanniMartellottaNasce a Monopoli il 14 dicembre 1943, da Giuseppe e Anna Minoia, che ebbero otto figli: Maria, Rachele, Anna, Angelo, Pietro, Antonio, Angela e Giovanni. Il 16 ottobre del 1955 entra nel seminario di Monopoli dove frequenta la prima media.
Nel 1957 è nel seminario di Conversano e vi rimane fino al 1961 quando accede al Seminario Maggiore di Molfetta dove compie gli studi liceali e i cinque anni di teologia.
Il 17 maggio 1970 è ordinato sacerdote dal papa Paolo IV e il 9 giugno dello stesso anno celebra la prima messa nella sua parrocchia di Santa Lucia, contrada di Monopoli.
Dal 1970 al 1989 è a Conversano dapprima come viceparroco e poi parroco presso la Chiesa del Carmine.
Il 29 agosto 1989 è nominato arciprete di Alberobello dove per 23 anni è stato rettore della Basilica dei Santi Medici
E' deceduto nella casa di famiglia nella contrada Tortorella di Monopoli il 23 febbraio 2019.

Don LeonardoSgobbaCittà natale Alberobello, è nato il 9 dicembre 1949. Ordinato sacerdote il 6 luglio 1974, è stato nominato arciprete il 12 ottobre 2012.

Negli ultimi anni molti fattori di cambiamento hanno trasformato l'economia e la società, passando da un'agricoltura specializzata ad un forte sviluppo delle attività terziarie nelle città e lungo le coste. Non è mancato il flusso emigratorio verso l'Europa e nel Nord Italia, dove l'apertura di novelli mercati ha richiesto nuova manodopera, determinando la definitiva scomparsa della tradizionale società contadina del Sud, nonostante i tentativi successivi dell'obbligo delle imprese a partecipazione statale a collocare nel Meridione il 60% dei nuovi impianti. La crisi petrolifera del 1973 modificò alla radice il problema del Mezzogiorno e vennero trasformate profondamente anche le prospettive nazionali e internazionali. Il miracolo economico che l'Italia conobbe negli anni Sessanta non fu continuo, ma a partire del 1973 s'innescò una spirale inflazionistica, ingenerando, perfino nella società operaia, abituata alla lotta dietro la spinta dei sindacati, effetti rigidi che condussero ad una pesante fase di stagnazione. I.:. industria italiana non fu piu competitiva rispetto all'estero, ma venne messa nelle condizioni di rinnovarsi; i salari vennero uniformati in tutta Italia e fu la causa del disincentivo a investire nel Meridione, generando disoccupazione, lavoro nero, minori consumi, stili di vita diversi. Tuttavia, si ebbero un grado di acculturazione differente, nuove forme associative e sistemi di relazioni sociali.

Fu in questo clima che don Leonardo venne ordinato sacerdote il 6 luglio 1974 nella chiesa dei Santi Medici dal vescovo mons. Antonio D'Erchia; si prostrò davanti all'altare, gesto che "per i sacerdoti indica l'abbandono nelle mani Dio, lasciare agire Dio, affinché egli compia la sua azione salvifica nella vita del sacerdote e in quelli di tutti gli uomini lungo la storia". Rimase in Parrocchia, contribuendo anch'egli in quegli anni all'evoluzione del tempio cristiano, affiancando l'opera inesauribile di don Giuseppe Contento e, dopo 13 anni di sacerdozio, come viceparroco in Alberobello, il 10 ottobre 1987, venne destinato alla parrocchia Regina Pacis di Monopoli, dove vi rimase per 10 anni per poi trascorrere altri due lustri in quella di Polignano a Mare e gli ultimi 5 anni a contatto con i fedeli di Santa Maria del Carmine in Pezze di Greco.

Probo e rispettoso dei santi Cosma e Damiano, ha sempre sostenuto che v'è un momento della sua vita particolarmente affascinante e che si ripete ogni anno nel giorno della festa dei Santi ch'egli venera; soprattutto è la fila dei pellegrini a commuoverlo, che, camminando nella notte buia, giungono a piedi per radunarsi davanti al santuario e ascoltare la messa, prima che sorga l'alba.

Nel 2020, causa l'esplosione della pandemia virale Covid-19 la festa civile dei Santi Medici non fu effettuata come anche le processioni del 27 e del 28 settembre.

da: Angelo Martellotta - Arcipreti e Prelati di Alberobello - ed AGA, Alberobello, 2018

Domenico MoreaIn memoria di Modesto Cammisa (autore dell'articolo)
 
Domenico Morea nasce ad Alberobello il 21 giugno 1833 in un piccolo trullo, sito alla via Giuseppe Giusti, civico 18. All'età di 4 anni perde la madre (si dice a causa del colera dell'anno 1837) ... e il padre, sarto, si risposa. Una zia monaca si prende cura di lui e lo affida al dotto sacerdote, liberale, patriota e conciliatorista don Modesto Colucci, indiziato e processato politico nei moti insurrezionali nel Barese per la Dieta di Bari (1848) e il convegno di Santo Spirito e di Monopoli. Don Modesto Colucci, constatata la viva intelligenza del Nostro, lo indirizza al padre francescano Giacobbe Morea, cugino di Domenico, che lo ospita nel piccolo cenobio di Maruccia (Lecce), dove compie i suoi primi studi classici e religiosi. Qui il vivido ingegno del Morea e la sua versatilità negli studi vengono notati e apprezzati da padre Tommaso, Provinciale dell'Ordine dei Riformisti, che insiste oltremodo con i sui parenti, affinché lo indirizzino e lo alloggino presso ilSeminario di Conversano, già famoso in tutta la Puglia. Morea giunge a Conversano con tutta la sua intelligenza, tutta la sua sete di apprendere e 200 ducati, garantiti  dalla sua cara zia. Tutto il resto lo fece la prowidenza, all'uopo molto bene incarnata nella persona di monsignor Giuseppe Maria Mucedola da San Paolo di Civitate, vescovo di Conversano, responsabile del Seminario, patriota, neo-guelfo, giobertiano e conciliatorista, che lo amò e protesse come un figlio.
Monsignor Mucedola  (u parrocchiane 'e Cunversane), così soleva appellarlo in senso spregiativo il re Ferdinando II, sedotto dalle competenze del giovane Morea e intraviste, anche, le notevolissime di lui capacità intuitive e organizzative, pare su suggerimento di Alessandro Manzoni, al quale lo stesso Mucedola aveva fatto tenere alcuni saggi letterari del Nostro, inviò Domenico Marea a completare gli studi letterari, filosofici e teologici a Montecassino da padre Luigi Tosti, il faro teologico e storiografico del!' epoca, anch'egli fervente patriota, neo-guelfo, giobertiano e conciliatorista (novembre 1855).Dopo i primi colloqui e le prime lezioni, così padre Tosti scrive a monsignor Mucedola che chiedeva: "Ella mi manda un teologo; e io forse glielo rimanderò poeta della teologia".
Il 27 marzo 1856 (a 23 anni non ancora compiuti) Domenico Morea era già sacerdote consacrato, su delega del Mucedola, da padre Luigi Tosti. Sempre a Cassino perfeziona i suoi studi letterari con l'allora sacerdote Alfonso Capecelatro che poi diverrà cardinale e gli resterà sempre affezionatissimo e devoto amico), ma soprattutto alla scuola di padre Tosti si forma negli studi storiografici condotti con la più ferrea ricerca scientifica. Nel settembre del 1856, su sollecitazione del suo mecenate si reca a Napoli per cercare di ricevere più in fretta il "passaporto" per perfezionarsi a Roma (Stato Pontificio - Regno delle due Sicilie) in esegesi. Il passaporto tarda ad arrivare per via del fatto che Morea proveniva da Conversano e dal suo Seminario e da Cassino (roccaforte neoguelfa) ed era un pupillo di mons. Mucedola, oltremodo inviso al Sovrano e alla sua polizia. A questo proposito ritengo opportuno anticipare quanto il Morea poi dirà durante l'elogio funebre del suo vescovo benefattore e mecenate. Dopo il 1848 e dopo i fatti della Dieta di Bari, vennero denunciati, processati politicamente eincarcerati molti figli della nostra Terra (tra cui anche i sacerdoti Modesto Colucci, Antonio e Vito Agrusti), monsignor Mucedola non fece mai mancare loro il suo sostegno spirituale, andando anche a trovarli in carcere. Denunciato per questo dalle molte spie dello spietato intendente Aiossa (il conte Luigi Aiossa), fu chiamato a Napoli per giustificarsi di fronte al Re dalle accuse mossegli ... E in quel frangente il Mucedola: "Sire, la parola dei Re è sacra; ma io non so operare diversamente da quello che mi detta la coscienza di padre dei miei diocesani". Francesco II resta colpito da tanta fierezza e sincerità, ma se la lega al dito e nell'ultima visita in Puglia 1859(a Bari nel 1859 in occasione del matrimonio del figlio) consegna la croce al merito di Francesco I a tutti i prelati di Puglia tranne che a monsignor Mucedola. Non così il Governo Italiano che, appena dopo l'unificazione del 1960, lo volle insignire dell'ambita onorificenza della Commenda dei santi Maurizio e Lazzaro.Torniamo al nostro Domenico Morea. Finalmente alla fine di ottobre del 1956 ottiene il passaporto e parte per Roma, dove alla Sapienza, seguendo gli insegnamenti di Carlo Passaglia e del cardinale Guidi perfeziona i suoi studi di esegesi biblica sia con lo studio in greco sia con quello in ebraico che gli consentiranno di interpretare sin dalle fonti le Sacre Scritture. A Roma il Morea si sostiene con 12 ducati che mensilmente il vescovo Mucedola gli accredita presso ilsignor Angelini, più 5 scudi che gli vengono dalla cappellania. Qui matura lo spirito conciliatorista e si lega con fraterna amicizia a padre Chère, che diventerà Rettore del gran Seminario di Lons-le-Sannier (lura). Morirono nello stesso anno (1902) e nel suo libro il padre francese ricorda di essere andato a trovarlo a Conversano nell'anno del Concilio. Parla entusiasticamente del suo amico Dominique e del Seminario-Collegio da lui organizzato portando la nomea "del polo di studi" di Conversano oltre i confini nazionali.Il tempo stringe e Mucedola lo invita a tornare quanto prima.Ha in mente di affidargli per la Pasqua del 1857 l'insegnamento delle scienze sacre al posto del rettore Michele Cornacchioli, prima di eleggerlo alla direzione dello stesso Collegio-Seminario. A causa della salute malferma del Nostro, prostratasi ulteriormente a causa degli studi, condotti intensamente (e molto velocemente) sia a Montecassino sia a Roma, monsignor Mucedola concede al suo Morea di ritemprarsi lo spirito, ma soprattutto le ossa, nell'aria collinare della sua Alberobello.
Nel mentre dimorava nella città natale, cinque giorni dopo la morte del Cavour e precisamente l'11giugno 1861, insieme al suo primo mentore don Modesto Colucci, celebrava una messa di requiem solenneper l'illustre statista piemontese.Sul fronte del tempio dei Santi Medici campeggiava uno striscione con su scritto:"Venite e pregate pel Conte Camillo Benso di Cavour".All'interno della chiesa, piena di ceri accesi e parata a lutto, sul tumulo eretto nel mezzo, l'altra epigrafe:"Al Conte Camillo Benso di Cavour, che volle e osò con miracoli d'audacia e prudenza, creare l'Italiauna, proclamare dinanzi l'Europa, la separazione del potere temporale dallo spirituale, e la chiesa libera,i sacerdoti di Alberobello, spontaneamente, queste esequie".
Durante la celebrazione il giovane Morea, così, dal pulpito, a clero e popolo intervenuto: "Cera delleNazioni è venuta ed è toccata alla generazione nostra questa insperata ventura. Ed ecco alla grand'operasuscitati prowidenzialmente il filosofo, l'uom di Stato, e il guerriero: Gioberti, Cavour e Garibaldi.
. . . Gioberti ha rappresentato l'idea dell'italico rinnovamento; il gran cuore di Garibaldi l'azione; Cavour haalitato nuovamente la vita nelle sparse menti d'Italia, e arditamente per primo le ha proclamato a capitaled'Italia Roma, la Roma eterna". Il discorso prosegue con l'invocazione del nostro sacerdote: " ... Romacapitale d'Italia". E, infine: " ... Quando Roma cattolica e pontificale liberamente accoglierà e abbracceràla Roma italiana e civile, oh! Allora i figli tutti d'Italia si affretteranno a versar lacrime e fiori sul sepolcrodel Cavour! ... " (dallo stralcio della riproduzione del discorso tenuto dall'esimio prof. Michele Viterbo adAlberobello il 10 agosto 1922 ed edito quello stesso anno a Bari da Humanitas).
Forse occorrerà riflettere un attimo su queste epigrafi . . . che furono sicuramente coraggiose comeColui che le aveva dettate e che in quasi tutte le chiese d'Italia avrebbero sicuramente all'epoca procuratonon pochi grattacapo al clero patriottico, nonché severi punizioni allo "sfrontatd' epigrafista.
Non possiamo, inoltre, non soffermarci anche se brevemente sul fatto che il Morea, ben 9 anni e 3mesi prima dalla chiesa di Alberobello, auspicava la caduta del Potere Temporale (come di fatto awenne il20 settembre 1870 con la presa di Porta Pia).E come non vedere e sentire, nel suo fatidico discorso patriottico e conciliatorista, nonché di chiarissimostampo giobertiano, la visione di ciò che sarebbe successo nel 1929? Dopo i Patti Lateranensi dell' 11febbraio 1929, infatti, il governo nazionale fascista deponeva in forma solenne sulla tomba del Cavour aSantena il simbolico ramo d'olivo.Morea certamente parlava sotto l'impulso e la fede ispiratagli dai suoi grandi maestri: padre LuigiTosti, monsignor Mucedola e padre Carlo Passaglia.Dopo la celebrazione e il discorso, al vescovo giunsero molte lagnanze da parte di quei vecchi reazionarie codini (anche di buona parte del clero conversanese legato al potere temporale del Papato), ancora moltoligi all'abbattuto trono borbonico e molte le insinuazioni di animi bassi e meschini, che spesso per invidia oper discreditare, attaccano i migliori per ingegno, formazione, idee e capacità.Monsignor Mucedola così lo rassicura in una lettera del 6 ottobre inviatagli ad Alberobello:"S'ingannano coloro che han pensato e pensano che io non sia contento di voi".E, inoltre, lo rassicurava di tenersi tranquillo"... ch'egli era sempre in cima al suo cuore ...".Infatti, già nel 1858 gli aveva affidato l'insegnamento delle "scenze sacre", e col riaprirsi dell'annoscolastico 1961-62 monsignor Mucedola chiama il giovane Morea (ha appena 28 anni) a reggere il Convitto-Seminario, cui si era aggiunto il Liceo ginnasio libero, di Conversano al posto del vecchio e stanco prof.Cornacchioli.
Cominciava così il Rettorato di Domenico, che durerà, con alcune interruzioni, quasi 40 anni. Grandile aspettative e molte le difficoltà dei soliti "parrucconi", soprattutto clericali, di Conversano. Troppo giovaneper un incarico che necessita di intuito, scienza pedagogica, arte di governo e autorevolezza con gli allievi.
L'intuito del Mucedola aveva colto il segno!Col Rettorino (così lo chiamava per via del fatto che era giovane e sbilenco) diede un soffio nuovo alsuo Seminario-Collegio, già arricchito del "Liceo ginnasio libero" che, infatti, avrebbe di lì a poco raggiuntala più alta fama non solo in Puglia, ma in tutto il Mezzogiorno d'Italia.Sui fogli intestati lo "stemma nazionale" cominciò a precedere la scritta "Seminario Vescovile diConversano".Ampliò e arricchì la Biblioteca del Seminario, aprendola al pubblico in giorni e ore prestabilite.Attrezzò un "gabinetto di fisica".Abbellì le aule del Seminario-Collegio e del Liceo-Ginnasio, dotandole di suppellettili adeguate, disussidi didattici e tavole murali, approntando, altresì, anche una palestra, dove, oltre alla mente i seminaristie gli studenti potessero formare e ritemprare anche il corpo.Chiamò ad insegnare i docenti migliori e più liberali di Puglia.Sottopose i programmi dei corsi di studio al giudizio delle migliori menti e personalità dell'epoca.Gente come Alessandro Manzoni e padre Luigi Tosti.Lo stesso Giovanni Pascoli, in visita ministeriale per gli esami di maturità, potè apprezzare e lodare ilMorea per la conduzione didattica del Liceo ginnasio.
Col Morea Conversano era diventata quella che ormai tutti definivano "l'Atene delle Puglie'', e il suo"Crescamus in Ilio per omnnia" conosciuto anche fuori dai confini nazionali.Viveva ancora il Mucedola allorché il Morea, sulla base della Legge Casati (1859), la prima leggescolastica di ordinamento a ispirazione dell'Italia Unita, indirizzò i programmi del Liceo ginnasio aiprogrammi del Casati. Quindi, in effetti, il Nostro trasformò i corsi degli studi di un'istituzione privata (quellidel Seminario-Collegio), uniformandoli ai dettami dello Stato italiano.Tutto ciò valse al Seminario di Conversano la possibilità di diventare nel 1894 un Istituto Pareggiato(mi sembra opportuno specificare che il Consiglio Comunale, cui all'epoca competevano le nomine,all'unanimità, affidò il Liceo-Ginnasio al preside Domenico Morea).Con questi presupposti programmatici e su questi indirizzi formativi fondava la sua preziosissimaattività educativa il Morea, dispensando opera di salda formazione civile, scientifica, letteraria e religiosanon solo ai seminaristi che avrebbero di lì a poco abbracciato il sacerdozio, ma anche a tutti quei giovanipugliesi che in virtù di quella formazione sarebbero diventati cittadini esemplari del Nuovo Stato Italiano,servendolo in ogni uffizio con competenza e abnegazione.Citare qualche nome sarebbe impresa ardua e lunga. Ve ne dispenso. Vi dico soltanto che moltidegli studenti del Collegio-Seminario-Liceo ginnasio si affermarono quali: letterati, pedagogisti,poeti,matematici, architetti, magistrati, consiglieri di cassazione, medici, awocati, deputati, senatori e ministridello Stato, presidi di Liceo, professori e Rettori delle Regie Università di Bari, di Napoli e di Pisa.
E mi fermo per non tediarvi.
Possiamo, quindi, senza ombra di dubbio, affermare che il sacerdote, il letterato, l'erudito, il filosofo,lo storico, l'oratore, il mistico, si fondevano nel "grande educatore", quello che tutti, per antonomasia,chiamavano il "Rettore Morea".Il nostro armonizzava mente e cuore, additando due fiamme: Iddio e la Patria. Scendeva nel cuoredell'alunno, forgiandone la mente e la volontà per dirigerle allo studio, piegarle all'esercizio del buono, delbello, rafforzarle alla pratica del bene e della disciplina.Questa la sua arte educativa! Il 20 marzo 1865 muore il Mucedola. E la Conversano clericale e quella borghese, attonita lo piange.Marea nell'elogio funebre ne celebra e la tempra del grande Pastore e quella di grande Liberale giobertianoe non evita di citare né le accuse meschine fatte recapitare al Re anche da quei Conversanesi codini ereazionari, né i soprusi del conte Luigi Aiossa, né le parole di pace e conciliazione del prelato dal Reinascoltate.
Con la morte del Mucedola per poco non scomparve la Diocesi di Conversano, una delle piu antiched'Italia.Il clero pregò il Morea di inviare una supplica al Santo Padre Pio IX. Supplica inviata il 18 dicembre1865. Ma la petizione restò senza frutto per sei anni a causa della diatriba Stato-Chiesa (vedi: Leggi eversive,fatti d'arme di Mentana, Villa Glori, Breccia di Porta Pia).
Finalmente nel 1871 arrivò monsignor don Salvatore Silvestris di Bisceglie, Pastore pieno di zelo, pietàreligiosa, caritatevole, ma anche rigido custode del vecchio spirito di disciplina del Seminario, derivatoglidai canoni del Concilio Tridentino.Naturalmente, il contrasto di vedute fu inevitabile, ma Morea, sostenuto dalla sua austera disciplinasacerdotale, continuò ad obbedire al suo vescovo senza recedere dalle sue convinzioni ... e vinse con la sua
tenacia, nonostante i soliti detrattori anonimi presso la Santa Sede avessero osato persino affermare che ilNostro avesse attentato alla vita del vescovo De Silvestris!A questi successe nel 1879 monsignor don Augusto Antonino Valentini di Chieti, filosofo e letteratoesimio, tomista (a lui si deve l'istituzione in Conversano dell'annuale ''Accademia di San Tommasod'Aquino"), che sempre apprezzò e condivise appieno le idee educative del Morea e il suo magistrale mododi condurre il Seminario.I due, che si stimavano profondamente, intrapresero un'amicizia che durò per tutta la vita e mai ilValentini, che due anni dopo (1881) fu promosso arcivescovo dell'Aquila, gli fece mancare il suo sostegnonella Santa Sede, dove aveva tanti amici e riscuoteva notevoli consensi e mai cessò di sostenerlo eincoraggiarlo negli studi, come si evince dalle numerose epistole che si scambiarono. Spesso monsignorValentini invitò il Nostro a tenere dotte conferenze il quel de l'Aquila. Memorabile restò quella del 1885 incui Morea trattò il tema "I classici latini e la Chiesa", la cui rinomanza varcò finanche le stanze del Vaticano.Con la promozione del Vicentini si vociferava da più parti e con una certa insistenza della successionedel Morea a vescovo di Conversano.La nomina, però, cadde su monsignor Casimiro Génnari di Maratea (1881-1897), uomo piissimo,caritatevole, sommo canonista, autore della rivista "Il monitore ecclesiastico', insignito poi della porporacardinalizia; ma che con le sue vedute retrogradi e conservatrici, anche se in buona fede, mise la morsa alleidee innovative e aperte del nostro Domenico, che si risolse a chiedere, e con fatica ottenere (ma di questoparleremo tra poco), le dimissioni da Rettore del Seminario.
Soltanto nel 1895, due anni prima di lasciare la diocesi il vescovo Génnari, con grandi dimostrazioni diaffetto e di stima, richiamò il Morea alla direzione del Seminario di Conversano, che era di molto regreditodopo il ritiro del Nostro a Montecassino. Troppo tardi Génnari tornò sui suoi passi; ormai il Morea erastanco e disilluso dalle tante ingiustizie della vita e aspettava soltanto l'oblio e la morte!
Per capire appieno il sacerdote, l'uomo e l'educatore Morea occorre studiare e approfondire il carteggiodel Nostro.Solo con lo studio delle 1191 lettere, ordinate per la prima volta da monsignor Cosmo FrancescoRuppi, è possibile incontrare l'animo, la personalità, la fede, il patriottismo, gli aneliti del Nostro.Esse ci aiutano, altresì, a comprendere il complesso contesto della vita in Puglia e nella risorta Italiadall'anno 1856 fino al 1902.
Per continuare il nostro discorso interessano qui soprattutto le epistole scambiate con Tagliabue,Settanni, Vicentini, Capecelatro negli anni dal 1882 al 1889, dove emergono speranze e delusioni passatenel nobilissimo animo del Morea.In esse si apprende:
  • delle speranze di essere promosso vescovo o bibliotecario della Biblioteca Vaticana;
  • delle calunnie che arrivavano al papa per far differire le nomine;
  • dell'esortazione ad avere pazienza e saper aspettare;
  • del doppio gioco del vescovo Génnari (poi cardinale) che a Morea diceva, anche per iscritto, dipostulare le sue nomine e al papa Leone XIII  minacciava le dimissioni da vescovo se il Morea venissepromosso e lasciasse il Rettorato del Seminario;
  • della proposta a Prefetto della Biblioteca Vaticana, caldeggiata da Luigi Tosti, cui il Papa stessoaveva chiesto consiglio; poi il Papa dirà al Tosti: "Morea lo si tiene in vista, ma bisogna aspettare";
  • del gran priorato di Morea alla Basilica di san Nicola di Bari, dato per certissimo e poi sfumato.
Tra speranze e delusioni, contrastato nelle sue giuste aspirazioni, il Morea si ammala "di nervi" e "diasma bronchiale"; per un breve periodo sverna a Torre del Greco (1887), poi a Capua, presso l'amicocardinale Alfonso Capecelatro e, passando da Montecassino ad Alberobello, nella casa di corso VittorioEmanuele dove abiterà dal 1875 fino alla morte. È in questo periodo che in una lettera al Tagliabue:"Voglio la pace e loblio, perché ormai son fatto vecchio; e anche se mi facessero qualcosa rinunzierei dinuovo, come rinunciai alla Prelatura di Castellaneta". Fu un gesto sconsiderato e un grave errore per ilMorea, che sommato a quelli dei discorsi del 1861e1865 gli preclusero per sempre la carriera ecclesiastica.Riprende il suo lavoro a Conversano e finalmente, all'inizio del 1889, a causa della malferma salute ilvescovo Génnari lo esonera dal Rettorato.Memore della vita monastica a Montecassino, di padre Tosti, degli ideali e dei sogni giovanili costìmaturati, agogna prendere la "cocolla benedettina" e inizia le pratiche occorrenti per il noviziato.Considerata la durezza di quella regola monastica e la sua cagionevole salute, tutti gli amici fanno agara per dissuaderlo, pregandolo di rinunciare.Fu allora, nell'estate del 1890, che Morea decide di chiedere asilo a Montecassino, di abbeverarsiancora alle sorgenti della vita intellettuale, del pensiero e della preghiera, e di mettere mano agli studi storiciche porteranno alla redazione delChartularium Cupersanense. E così scrive al Settanni il 18 dicembre1890: "... Il lavoro del Chartularium procede benissimo, ma non rapidamente come volevo ... Mi sonocacciato in mezzo ad uno spineto pungentissimo di leggi, monete, magistrati, greci e bizantini, leggi ecostumi longobardi, costituzioni monastiche, discipline ecclesiastiche, voci dialettali, usi e costumi pugliesi,dispute cronologiche, etc. etc. La stampa del Chartularium l'ho cominciata. Di opere da consultare ne trovoa dovizia; ma d'uomini che mi guidino quasi nessuno! ... È sparita quella generazione di dotti che trovai nel1855 ... Resta il solo padre Tosti che non regge più l'aria fredda ed elastica della montagna e si è ridotto inuna cameretta di San Severino a Napoli".
Dopo una breve rimpatriata ad Alberobello, nell'estate del 1891 torna alla solenne quiete diMontecassino, dove ritrova padre Tosti che rende pili dolce e spirituale la sua dimora lassù. Il lavoro delChartularium viene ripreso con alacrità, tanto che 1'8 gennaio 1892, scrivendo al Settanni, gli comunica chemanca appena un terzo del lavoro perché sia compiuto.Fu poi stampato in fototipia a Montecassino alla fine dello stesso anno (1892).Nel marzo 1893 spedisce la prima copia del 1° Chartularium Cupersanense a Tagliabue che glienecommissiona molte copie a nome dell'Editore Ulrico Hoepli.Il libro ha un'eco straordinaria e riscuote così tanto successo tra i dotti e gli addetti ai lavori che Moreane gioisce convinto di aver creato un'opera duratura che gli darà lustro per sempre.I malanni fisici riprendono a bersagliarlo e i medici gli consigliano il titorno in Puglia. Infatti,ai primi di giugno del 1894, torna nella sua Alberobello e, di lì a poco 1895, a reggere nuovamente ilSeminario-Collegio di Conversano.
Occupiamoci ora, anche se brevemente, del Chartularium. Come spesso gli è accaduto nelle coseintraprese in vita, Morea fu l'antesignano nel campo della storiografia pugliese, rivelandosi caposcuola deglistessi studi storici regionalisti.Studi che fino all'awento del Nostro non facevano altro che ricamare intorno all'argomento sceltoquanto già sin lì detto (o copiato) da altri, servendosi di fonti di già pubblicate espandendole in lunghedisquisizioni su fatti, dati, nomi e circostanze, spesso trascurabili, operando in ultima analisi quella criticaesasperazione del dubbio che sfocia nel sofisma.Per Morea, invece:non basta appurare i fatti e isolatamente studiarli, bisogna awicinarli e ordinarli tra loro, perchél'uno fa lume all'altro e dal loro complesso può scaturire intiera la verità ... e questi awicinamenti logici nonpossono farsi se non al lume della filosofia: la filosofia della storia, alla luce della quale, penetrando i fattistorici, si giunge a disegnare sulla vasta tela degli avvenimenti umani quelle leggi dei ricorsi, che si alternanoa vicenda, guidati sempre dalla Divina Provvidenza;la storia rappresenta un bisogno delle società adulte, che cominciano ad avere coscienza di loro ...dove si studiano le storie ivi è bene a sperare dell'awenire di quel popolo;la storia è opera calma di riflessione; raccoglie gli ammaestramenti del passato; e guida ed indirizzal'awenire; esprime quei taciti movimenti di concentrazione, in cui le collettività si preparano e maturano anuove tappe delle loro ascese;la storia si contrappone alla leggenda, che germoglia dalla mancanza dei documenti e dal senso diorgoglio nazionale, ove nel narrare le storie delle origini s'abbia ad essere cauti nelle ricerche e sceverareaccuratamente le chiare dalle oscure notizie;l'arma pili importante della storia è la critica che deve sempre saper discernere il grano dalla pula;per le scuole devonsi ammannire le verità certe e appurate, perché nei giovani non va infuso ildubbio che ne deriverebbe dal criticismo storico, anche perché inaccessibile alla loro menti;la storia risente dell'epoca in cui si scrive, dell'indirizzo della cultura, dei difetti e passioni dell'epoca,del temperamento di chi la scrive;lo storico deve salire pili in alto, dalle vette dello spirito, per riassumere i panorami storici, perchéla storia è la scala per l'awenire, è ausilio della politica e delle legislazioni.
Col Chartularium il Morea offre alla Puglia un campo di ricerca nuovo e inesplorato e, soprattutto,una nuova metodologia di indagine nella disamina dei tantissimi documenti presentati. Infatti, il Nostropresenta un largo sunto e copiose note illustrative concernenti il testo di ciascun documento utili per la
storia topografica, i personaggi, le leggi (in Puglia molto complesse per via delle diverse per via del CodiceBizantino e di quello Longobardo) , gli usi e i costumi della nostra terra.Documenti di diritto pubblico e privato, di bolle e sovrane concessioni che fotografano la vita delpopolo pugliese nel suo dinamismo e che Morea aveva raccolto e accumulato in 30 anni (sin dal 1865),recuperando tutte le pergamene del disperso archivio della Badia Benedettina di Conversano.Il Chartularium è, prima di tutto, la storia del monastero di San Benedetto di Conversano, il celebreMonstrum Apuliae, la badia retta prima dai monaci benedettini (sec. IX - XIII) e poi passato alle monachedello stesso ordine (1266-1810), diretto per speciali privilegi da una Badessa, che aveva giurisdizione,quasi a livello episcopale, nel campo ecclesiastico sui preti di Castellana e giurisdizione feudale su quellastessa terre.
La storia del monastero di San Benedetto di Conversano apre uno squarcio di luce su cinque epochedistinte, a cui il Morea fa corrispondere altrettanti capitoli.
La prima epoca comprende le origini del Monastero dal VI al VII secolo sino a Goffredo Normanno(1072) .
La seconda da Goffredo il Normanno a Dameta Paleologo (1072 - 1266).
La terza da Dameta Paleologo a Beatrice, la prima Badessa della casa comitale Acquaviva d'Aragona(1266 - 1504).
La quarta da Beatrice a Gioacchino Murat (1504 - 1810).
La quinta da Gioacchino Murat alla fine del 1800.
Il primo volume pubblicato a Montecassino nel 1892 abbraccia i primi due capitoli che si occupanodelle epoche bizantina, normanna e sveva.Gli altri tre capitoli, dettati interamente dal Morea all'amico arcipretedon Giuseppe Caramiaconle relative note, furono allo stesso affidate affinché fossero inviate ai Padri benedettini di Montecassino,assieme alle copie invendute del primo volume.Gli appassionati di storia e gli addetti ai lavori hanno atteso per anni il secondo volume del Chartularium.Finalmente, completato da Francesco Muciaccia, preside del Liceo di Bari, su incarico della Società pugliese
di Storia Patria, viene pubblicato, per i tipi di Vecchi & C. , nel 1942.
Muore a Conversano il 17 luglio 1902. Qualche giorno prima aveva presenziato agli esami di licenzaliceale dei suoi amati allievi.
Morì povero. Non aveva accumulato ricchezze né per sé, né per i suoi familiari, pensate che avevadonato persino la casa avita alla Parrocchia di Alberobello.E, peraltro, come poteva farlo con lo stipendio di f 500 annue, elevate a £ 1.500 solo alla fine dellacarriera, se gli stessi emolumenti bastavano appena per la corrispondenza e le spese di rappresentanza?Ci fu bisogno persino di una sottana nuova per ricomporre decentemente la bara dell'insigne prelatoe maestro.Vi prowidero il clero e i docenti del Seminario-Collegio di Conversano!
Ho volutamente omesso, per non stancate l'uditorio, la miriade di opere minori del Nostro. Nonposso tacere de "Il culto dei santi medici Cosma e Damiano nella Chiesa parrocchiale di Alberobello"(Napoli Tipografia Rinaldi, 1886 e fatto ristampare dall'arciprete Giovanni Martellotta in occasione del 90°anniversario della morte, 1992).Lo faccio solo per muovere al Morea storico, dopo questo panegirico, un piccolo appunto relativamentea quanto egli, nel testo citato, afferma a proposito del numero di abitanti, allorché nel 1797 la nostraAlberobello viene affrancata dal servaggio feudale, diventando Città Regia e ottenendo, altresì, la possibilitàdi erigere la sua chiesetta a parrocchia.Il Nostro derubrica a "una pietosa bugia" il n° di 3.200 abitanti riportati nel Dispaccio Regio di reFerdinando IV del 27 maggio 1797. E continua affermando che solo grazie a questa "pietosa bugia"Alberobello ottenne la sua libertà, atteso che per diventare Città Regia il paesello avrebbe dovuto contarepiù di 3.000 anime.Evidentemente, Morea non aveva avuto modo di legger la relazione Vivenzio e, di conseguenza,andare a guardare le relazioni dei vescovi durante le famose "visite ad limina" succedutesi nella nostrachiesetta.
Anno 1665 il vescovo di Conversano monsignor Giuseppe Palermo afferma che nella "località ruraledi Alberobello ha 800 anime".
Anno 1705 il vescovo di Conversano monsignor Filippo Meda afferma che la "località rurale diAlberobello è formata da circa 1.500 abitanti, di cui 900 hanno ricevuto la comunione".
L'11 maggio 1797 il marchese Vivenzio, capo dell'ufficio della Sommaria, è ad Alberobello e vi rimanetre giorni per un'ispezione commissionatagli dai Borbone in contraddittorio con due awocati del Conte diConversano (De Paruta e uno delli Noci).
E il 15 maggio 1797, da Alborobello (sic.), redige per il Re una relazione puntualissima, che l'Ufficiodi Ferdinando IV fa propria allorché firma il Dispaccio.
Anno 1816 il quadro riassuntivo del catasto di Alberobello così riporta: abitanti 3395, superficie abosco tomoli 1642, seminativo tomoli 632, proprietari 794.
Quindi, . . . . .. ... nessuna "pietosa bugia".
Per farmi perdonare dal Nostro Domenico, voglio chiudere con una chicca che fino a poche ore fa misembrava inedita e per un pò mi aveva fatto pensare anche ad un mio piccolo contributo di approfondimentodel Suo poliedrico ingegno: il Morea poeta.
E voglio rileggervi due sue brevi frasi che in me hanno risvegliato immagini e sensazioni straordinarie ...poetiche, appunto, anche se scritte in prosa.
Risentitele anche voi:
- la filosofia della storia, alla luce della quale, penetrando i fatti storici, si giunge a disegnare sullavasta tela degli avvenimenti umani quelle leggi dei ricorsi, che si alternano a vicenda, guidati sempre dallaDivina Provvidenza;
- la storia . . . esprime quei taciti movimenti di concentrazione, in cui le collettività si preparano ematurano a nuove tappe delle loro ascese.
Poi ho scoperto che Giovanni Pascoli, dopo quella visita ispettiva ministeriale al Seminario-Collegio,così al Morea e al Forlani:
"Cari amici, rileggo i vostri sonetti e rivedo voi. Puri, forti, alti, con qualcosa di mesto che fa, comeuna nuvola solitaria, risaltar più il sereno, con qualcosa di amaro che tempra la dolcezza e non la corrompe:ho parlato dei vostri brevi e amplissimi carmi, o di voi? Di voi e di loro. Perché, in verità, voi siete sinceri:cosa rara, oggi. Oggi, i poeti, o diciamo, più esattamente per noi, gli artisti, indossano una personalità comes'indossa un vestito, seguendo la moda".

Eventi in Parrocchia

CoroBismantova2giu19

2 giugno, Festa della Repubblica Italiana

La Basilica

neipressi

Le Campane della Basilica in un articolo del prof. Gino Angiulli

Arcipreti & Prelati

interno

il dotto Domenico Morea "illustrato" dal dir. Modesto Cammisa